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Stati Generali: più occupazione con il “Made Green in Italy”

Tre milioni di lavori verdi, con 234.000 nuove assunzioni solo nel 2014 secondo il rapporto GreenItaly 2014 di Unioncamere-Fondazione Symbola presentato nei giorni scorsi. 190.000 posti di lavoro nel solo 2013 per la realizzazione e gestione di impianti di fonti rinnovabili; migliaia nelle 50.000 aziende agricole biologiche. Più di 460.000 possibili posti di lavoro da un programma di rafforzamento dell’efficienza energetica; 30.000 da una gestione più efficiente della raccolta differenziata.  Gli Stati Generali della Green Economy, promossi dal Ministero dell’Ambiente e dal Consiglio Nazionale della Green Economy, con il supporto tecnico della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, si sono chiusi ieri a Rimini, mettendo in evidenza la capacità dell’economia verde di rispondere alle questioni occupazionali presenti tutti i giorni sulle scrivanie dei membri del governo e nel dibattito pubblico.

Il titolo di quest’anno – “Lo sviluppo delle imprese della green economy per uscire dalla crisi italiana” – collocava di proposito l’evento nel rovente dibattito sul lavoro, come per dire: “Noi le potenzialità ce le abbiamo, e ne abbiamo già dato prova con numeri importanti. Adesso serve che anche la politica e chi governa ci metta del suo”. Messaggio ricevuto? Vedremo. “I numeri ci mostrano che le uniche aziende che hanno tenuto nella crisi economica, sono quelle della green economy. Sono cresciute, infatti, in fatturato e in occupazione”, ha ammesso – da buon commercialista – il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. “Le imprese della green economy sono imprese nuove che creano nuovi posti di lavoro. Dobbiamo aiutare queste realtà con regole semplici, certe, che durino nel tempo”, si è impegnato il titolare del Lavoro, Giuliano Poletti.

In particolare sono due le proposte che vengono dagli Stati Generali per far fronte alla disoccupazione giovanile: “Ridurre in maniera significativa, per almeno tre anni, il prelievo fiscale e contributivo per l’impiego dei giovani e il varo di un Piano Nazionale per lo sviluppo dell’occupazione giovanile. Quest’ultimo, in particolare, deve essere sostenuto da misure mirate alla formazione e qualificazione, con lo scopo di dare più forza al manifatturiero Made in Italy associato alla bellezza e alla qualità ecologica, con produzioni pulite”.

Per attuare questo obiettivo, è l’idea degli imprenditori che hanno partecipato all’evento, sono necessarie cinque azioni: “La revisione e la riallocazione in chiave di green economy e di ecoinnovazione degli incentivi distribuiti all’industria, un rafforzamento green delle principali filiere produttive; un programma di risanamento e riqualificazione ambientale degli impianti e delle produzioni ad alto impatto; il lancio di speciali iniziative nazionali di valorizzazione del tessuto produttivo attraverso la produzione del “Made Green in Italy”; il sostegno alle start up di imprese giovanili della green economy”. In Italia, riassume il presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ed ex ministro Edo Ronchi, “le imprese della green economy, sia core green, cioè quelle che producono beni e servizi ambientali, sia go green, che adottano cioè modelli di business ambientale, hanno un peso rilevante spesso sottovalutato. Il loro sviluppo può trainare la ripresa economica”.

Se fino a una decina d’anni fa la green economy italiana poteva ancora essere definita un settore di nicchia, oggi, con un valore aggiunto di oltre 100 miliardi di euro (pari al 10% dell’intera economia nazionale, sommerso escluso), essa ha aumentato il proprio potere contrattuale. Anche se non sempre questo fatto è riconosciuto.

A livello mondiale l’industria verde negli anni ha continuato a crescere, nonostante la crisi: il giro d’affari globale nel 2005, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (UNIDO), era di 990 miliardi di euro in sei settori green (efficienza energetica, gestione sostenibile delle risorse idriche, mobilità sostenibile, energia, uso efficiente dei materiali, gestione dei rifiuti e riciclo), nel 2020 è stato stimato che sarà più che raddoppiato arrivando a circa 2.200 miliardi di euro. In Italia oggi (Flash Eurobarometer 381), il 25% delle aziende fino a 250 dipendenti offre prodotti e servizi eco e un altro 7% intende offrirli nei prossimi 3 anni (sono il 33% in Germania, il 31% nel Regno Unito, il 30% in Francia e il 34% negli Usa).

Secondo un’indagine elaborata dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, che ha coinvolto 437 imprenditori, oltre il 90% delle imprese della green economy è convinto che la produzione in chiave sostenibile possa contribuire alla ripresa. “Gli imprenditori stanno cominciando a fare squadra su idee e convinzioni condivise: la crisi economica può essere superata innovando, differenziando e puntando su produzioni e consumi in direzione green”, spiegano dalla Fondazione. E proprio in quest’ottica, durante i due giorni di Rimini, oltre alle proposte per il lavoro ne sono state presentate altre riguardanti diversi settori della green economy: agricoltura, ecoinnovazione, gestione del capitale naturale e dei servizi ecosistemici, rifiuti, acqua, certificazioni ambientali, clima ed energia. La partita ora va giocata.

Veronica Ulivieri

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