Salone del Gusto: continua l’impegno per ridurre l’impatto ambientale
Dal 23 al 27 ottobre Torino ospita la decima edizione del Salone Internazionale del Gusto insieme alla sesta Terra Madre. L’appuntamento, organizzato ogni due anni, da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino, in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole, è dedicato al progetto dell’Arca del Gusto e all’agricoltura familiare, entrambi temi fortemente legati al concetto di biodiversità e salvaguardia del territorio. Carlo Petrini, presidente di Slow Food, ha insistito ieri, durante la conferenza di inaugurazione, nel ricordare l’urgenza di una legge per difendere il suolo agricolo e fermare la cementificazione, consegnando al Ministro Maurizio Martina una lista di sei idee da portare al Presidente del Consiglio per sostenere l’agricoltura “a costo zero”.
Dal 2006 all’edizione 2014 molto è stato fatto per rendere il Salone del Gusto un evento a ridotto impatto ambientale, valutando utilizzo di energia, rifiuti ed emissioni prodotte. Non semplicemente attraverso azioni di compensazione ma con l’ausilio di misure concrete che non fossero nocive per l’ambiente circostante: grazie alla collaborazione di svariati soggetti (tra cui il dipartimento di Design del Politecnico di Torino, l’Università di Scienze Gastronomiche e oltre quaranta enti ed aziende) nelle quattro edizioni l’impatto ambientale è stato ridotto del 65% rispetto all’edizione di riferimento del 2006.
Ma raggiunto questo notevole risultato, il traguardo diventa ancora più ambizioso: il progetto è di sviluppare, nelle prossime edizioni, indicatori specifici e una metodologia di ricerca per la valutazione dell’impatto della manifestazione a 360 gradi. Systemic Event Design (S.Ee.D) il nome di questo nuovo progetto ideato dagli organizzatori del Salone con il coordinamento scientifico dell’Università di Scienze Gastronomiche e il patrocinio del Ministero dell’Ambiente.
Parte già da questa edizione, invece, lo sforzo per far sì che i visitatori prendano consapevolezza di poter diventare “co-organizzatori” che, attraverso il loro comportamento, influenzano parte della sostenibilità dell’evento. Questo il motivo della presenza dei volontari di Legambiente che supportano le persone nella differenziazione dei rifiuti nelle 120 Isole di Raccolta dislocate nei padiglioni, o delle facilitazioni per la mobilità attraverso numerose convenzioni con Trenitalia, GTT, il bike-sharing [TO]Bike e il car-sharing BlaBlaCar. Non manca l’attenzione per gli eco-materiali per l’allestimento: anche quest’anno, infatti, le bancarelle sono realizzate con Greenpallet® Palm certificati PEFC e FSC, in legno di abete e pioppo proveniente da foreste italiane gestite secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
Il Salone del Gusto offre però anche uno spunto per tornare a parlare di Certificazione Biologica. Molti, infatti, tra i produttori presenti quelli virtuosi nelle pratiche a tutela dell’ambiente e della biodiversità e che hanno scelto di certificare come biologici i loro prodotti. È il caso, ad esempio, della recente linea di panettoni a lievito madre della Pasticceria Fraccaro di Castelfranco Veneto, che dal 1932 crea i propri prodotti in modo artigianale. Quest’anno, l’azienda presenta al Salone un panettone speciale impreziosito da ingredienti dei Presìdi Slow Food. Tra questi, la Vaniglia naturale Mananara del Madagascar coltivata e raccolta a mano nella Riserva della Biosfera Mananara Nord (creata da Unesco ed Angap) all’ombra delle piante della foresta pluviale, a pochi metri sul livello del mare, ma priva di bollino biologico. E la vaniglia è uno dei pochi ingredienti che, da disciplinare, invalida la certificazione di un prodotto anche se presente in grammatura inferiore al 5% sul totale.
Anche la Naturale Birra Cimbra è un prodotto privo di Certificazione Biologica, ma è il frutto di un visionario progetto nato nel 2011 da due ragazzi di Asiago con la precisa volontà di valorizzare la tradizione del territorio attraverso un prodotto artigianale, non pastorizzato e microfiltrato, utilizzando solo acqua delle ventiquattro sorgenti alpine del parco naturale di Hans, malto di prima qualità coltivato a chilometro zero e una combinazione di luppoli tedeschi e boemi. La birra è prodotta in collaborazione con uno dei più piccoli ed antichi birrifici d’Europa sito in Carinzia che vanta prime produzioni risalenti al 1270.
Simile il caso di Primitivizia, un’azienda di Spiazzo, in provincia di Trento, che raccoglie esclusivamente quel offre la natura delle montagne circostanti e lavora le materie prime con tecniche manuali e rispettose della tradizione. L’azienda, finora priva di certificazione proprio a causa della natura delle materie prime selvatiche utilizzate nei loro prodotti, sente la necessità di avviare l’iter per l’ottenimento del bollino per esportare con maggior successo oltreoceano.
Spesso la ricerca delle materie prime, le produzioni ridotte o le caratteristiche stesse del prodotto commercializzato rendono insostenibile economicamente (qualcuno dice: superflua) la certificazione. Una soluzione concreta viene da un gruppo di apicoltori facenti parte della Comunità mondiale del cibo ad energia pulita e rinnovabile della Toscana, un progetto virtuoso che insiste sui metodi di produzione anziché sui prodotti, attraverso la proposta di una sorta di autocertificazione del produttore che si rende disponibile a consentire i controlli da parte di un ente terzo indipendente ogni qualvolta questo si renda necessario. Uno dei produttori, Alberto Fatticcioni, racconta come quest’anno, particolarmente critico per l’apicultura, gli oneri economici che sarebbero derivati dall’ottenimento della certificazione biologica avrebbero superato i ricavi ottenuti dalla sua piccola produzione, costringendolo alla vendita del miele ad un prezzo tre volte superiore rispetto a quello che lui considera equo. Che fare? Il dibattito resta aperto su #bioedintorni.
Elisabetta Redavid