Paesaggio e bellezza
Parlare di bellezza in tempi di crisi a qualcuno potrebbe sembrare un lusso da snob. Ma, al contrario, il diritto alla bellezza e alla sua fruizione è un diritto di cittadinanza importante quanto altri, solo apparentemente più concreti. Perchè il paesaggio - sia esso naturale, agricolo o urbano – è un bene pubblico, che va condiviso e preservato dall’insaziabile appetito di oneri di urbanizzazione di molti amministratori pubblici, prima che sia troppo tardi.
E’questo, in sintesi, il messaggio lanciato da Riccardo Bedrone, presidente dell’Ordine degli Architetti di Torino, in apertura della quinta edizione della Biennale “Creare Paesaggi“, promossa dalla Fondazione OAT in collaborazione con il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, dove, fino al 12 dicembre, sarà possibile visitare la mostra fotografica “Paesaggio e bellezza – Enjoy the Landscape“.
La mostra si articola in tre sezioni (Il progetto per il godimento del paesaggio; Lo spettacolo della natura; Lo sguardo sulla città), illustrate attraverso 120 immagini e 28 casi di studio internazionali, tra progetti, realizzazioni e piani di gestione del paesaggio, che riflettono i temi trattati nel convegno inaugurale di giovedì 11 novembre.
Ne abbiamo parlato con la curatrice Claudia Cassatella, paesaggista e ricercatrice del Politecnico di Torino e con Ippolito Ostellino, direttore del Parco Fluviale del Po Torinese.
D) Architetto Cassatella, perchè è importante parlare di bellezza del paesaggio, oggi, in Italia?
R) Il paesaggio è una realtà complessa che implica tante dimensioni: storica, ambientale, memoriale ecc. Ma l’aspetto estetico e scenico è forse quello peculiare che attrae le persone e che lo distingue dall’ambiente e dal territorio in senso stretto. Non dimentichiamo che sulla fruizione del paesaggio si basa anche un’economia, come quella del turismo, al centro dell’interesse di molte amministrazioni.
D) Come è possibile estendere il concetto di bellezza del paesaggio al di là della dimensione estetica soggettiva?
R) Ci sono delle questioni che possono essere trattate dal punto di vista tecnico. I progettisti utilizzano degli indicatori oggettivi. In questo senso, in mostra, presentiamo sia dei progetti che enfatizzano l’aspetto di fruizione estetica e multisensoriale (creazione di belvedere o anche punti da cui percepire suoni), sia dei piani di gestione delle risorse naturali e urbane dal punto di vista scenico. Esempi emblematici sono lo Yosemite Park americano, per il paesaggio naturale, e la Città di Londra, per quello urbano.
D) A che punto è l’Italia nella considerazione dei temi e dei problemi legati al paesaggio?
R) Indietro, sia dal punto di vista degli studi che delle applicazioni. Le metodologie su cui lavoriamo noi progettisti sono in parte note da decenni, a livello internazionale, anche se ancora a livello sperimentale. Non c’è molta formazione su questi temi: la figura dell’architetto paesaggista, del resto, è stata introdotta in Italia solo nel 2001, negli Stati Uniti cent’anni prima! Ma c’è anche un problema di coraggio da parte delle pubbliche amministrazioni, il coraggio di fare valutazioni e assumersi delle responsabilità. Mentre nel mondo anglosassone è più diffusa la valutazione, da noi si attende la regola, il piano che dice “così sì/ così no“. E’proprio un fatto di cultura urbanistica: creare strumenti per poter valutare la soluzione migliore, invece di fornire una soluzione già pronta.
D) C’è qualche caso virtuoso anche in Italia?
R) Sicuramente, tra gli ultimi piani paesaggistici ci sono esperienze regionali e provinciali – ma anche comunali – interessanti. Mi vengono in mente gli studi sull’immagine in Umbria, la considerazione degli aspetti scenici nel piano regolatore di Reggio Emilia o anche il caso, qui in Piemonte, della Corona Verde.
Tra i casi di studio in esposizione si trova infatti il nuovo progetto per il masterplan del Po dei Laghi, un colossale piano di recupero dei laghi di cava, in provincia di Torino, commissionato dal Parco Fluviale del Po Torinese, che nei prossimi giorni presenterà anche, a Bruxelles, il progetto Infrastruttura Verde.
“Il masterplan - ci spiega Ostellino - è l’idea di mettere a sistema il territorio che circonda i laghi da estrazione, in corso di recupero, per inserirlo in un progetto di fruizione dell’area metropolitana torinese”.
D) Come si svilupperà, in concreto, questo progetto?
R) La società Paicon, che si è aggiudicata il bando, dovrà elaborare lo schema entro il quale affrontare i temi che già hanno interessato altre città europee, come Madrid: le porte di accesso, i percorsi di fruizione ecc. In più affronteremo anche il tema gestionale: ovvero capire quale potrà essere il soggetto gestore di questo vasto territorio che avrà, al suo interno, una porzione di area protetta.
D) Quali difficoltà si pongono, nel vostro caso, per un progetto di riqualificazione del paesaggio?
R) Il recupero delle aree estrattive ha sollevato principalmente una discussione: è necessario “fare dei buchi” per incrementare la qualità ecologica e paesaggistica di questi luoghi? Ovviamente non si parla di realizzare nuove cave, ma dell’opportunità di affidare ai privati la riqualificazione di cave esistenti. Secondo qualcuno deve essere l’ente pubblico a intervenire, ma le aree in questione sono private e la pubblica amministrazione non ha le risorse economiche per intervenire, quindi? Su questo c’è sempre stato uno scontro con un certo mondo ambientalista. Iniziative come la Biennale servono a spiegare la valenza di questi progetti per il cittadino, per il quale la fruizione è un aspetto fondamentale.
Andrea Gandiglio