New Alliance PAV: anche i fiori possono fare politica
Probabilmente se pensiamo a qualcosa di precario e temporaneo andiamo subito con la mente a un fiore, a una piccola pianta. Oppure – più pragmatici e arrabbiati – ci concentriamo sul lavoro o l’instabile condizione che in molti viviamo nell’epoca della grande crisi economica. Quello che conta è che una cosa non esclude l’altra.
Almeno così sono convinti i componenti di un gruppo di artisti, attivisti, agronomi e membri del PAV, il Parco d’Arte Vivente di Torino, che propongono una “nuova alleanza” fra piante e persone, unite dalle stessa situazione di precarietà e dalla stessa voglia di uscirne.
Il progetto artistico-politico si chiama appunto New Alliance e verrà presentato giovedì 20 settembre al PAV con l’inaugurazione della mostra dedicata (aperta fino al 21 ottobre). “Piante e spazi verdi urbani sono spesso a rischio di sopravvivenza – spiega Orietta Brombin, curatrice della mostra e del workshop collegato – così come lo sono gli spazi sociali e culturali. Abbiamo voluto far collaborare i due ambienti”.
Il collettivo si è quindi messo a studiare una strategia per dare corpo a questa intuizione. Un processo lungo (“durato sedici mesi”), che ha portato a scegliere una pianta che potesse colonizzare spicchi di città, proteggerli dal degrado e a sua volta farsi proteggere dai cittadini. “Alla fine abbiamo optato per la Catanche Caerulea, conosciuta anche come dardi di Cupido perché si dice venisse usata per preparare filtri d’amore”.
Alta non più di ottanta centimetri, ha bei fiori azzurri ed è abituata a crescere su terreni calcarei ma anche fra rovine e macerie. Adattissima quindi a ritagliarsi uno spazio in quartieri in disgregazione. “Ma soprattutto – spiega ancora Brombin – è una pianta che la legislazione regionale definisce a protezione assoluta: non si può tagliare, né spostare, né ci si può costruire attorno, anche se le sanzioni per i trasgressori al momento sono ancora lievi”. Gli spazi pubblici che ospitano la Catanche Caerulea hanno quindi la stessa protezione legale che salvaguarda le piante a rischio d’estinzione, mettendo tutti al riparo “dai tentativi di sfruttamento e dalle logiche del profitto”.
Tutto questo verrà raccontato nella mostra che inaugura giovedì, anche per mezzo di un’intervista a Steve Kurtz del Collettivo CAE (Critical Art Ensemble), gruppo statunitense che ha ispirato lo staff del PAV e lo ha aiutato nella realizzazione del progetto. Ma la mostra da sola avrebbe avuto poco senso, era necessario passare all’azione.
Così Orietta Brombin e i collaboratori hanno organizzato un workshop per domenica 23 settembre: “Durante le fasi preparatorie abbiamo esplorato Torino per scegliere i luoghi più adatti, nel frattempo abbiamo seminato i fiori e adesso finalmente siamo pronti per la piantumazione”. Artisti, operatori e semplici partecipanti andranno quindi a colonizzare piccoli spazi urbani. Il primo sarà proprio il PAV, dove alcuni dardi di Cupido resteranno a testimonianza dell’iniziativa. Altri verranno piantati nello spazio dell’associazione URBE Rigenerazione Urbana, alcuni fioriranno attorno al tram urbano del Progetto Diogene (Rotonda di Corso Regio Parco), le ultime verranno affidate all’orto del centro diurno di salute mentale di via Leoncavallo. Per un totale di un centinaio di bulbi.
Sarà un modo per riappropriarsi di qualche pezzo di città. Di sfruttare la precarietà in maniera positiva, come strumento per la riqualificazione di spazi ed esperienze sociali, secondo i principi cari al guerrilla gardening. “Speriamo che questo sia solo l’inizio – spiega ancora la responsabile del progetto – noi e gli artisti del CAE lo abbiamo immaginato in modo che fosse replicabile”. Chissà che proprio come un seme, l’esperienza del collettivo del Parco d’Arte Vivente non riesca a diffondersi e moltiplicarsi anche in altre contesti. “Ogni regione ha le sue piante a rischio, protette dalla legge – conclude Brombin – e ogni zona ha le sue comunità, con problemi e battaglie peculiari”. Ogni territorio, di fatto, è buono per provare una nuova alleanza.
Matteo Acmè