Museo dei Bambini: la mostra di Ulian per spiegare gli eccessi del consumismo
Spiegare l’essenza a un adulto è un’impresa complicata, figuriamoci a un bambino. La crisi finanziaria sta spingendo molte persone a interrogarsi su aspetti fondamentali dell’economia. E della vita. Una di queste è Paolo Ulian. Il designer, è l’ideatore dell’esposizione “L’essenza e l’eccesso” (cura e produzione di Best Up Circuito per la promozione dell’abitare sostenibile), in mostra alla casa di tutti i piccoli milanesi, il Muba. Nell’ex chiesa di San Michele, 1.200 metri quadri al centro dell’area verde, la sede stabile del nuovo Museo dei Bambini, una riflessione sulla modernità, contro chi guarda più alla produzione che al bisogno.
Detersivo per i piatti contro aceto di vino, diavolina contro ramoscelli, carta asciugattutto contro spugnetta, pomodori per tutte le stagioni contro pomodori che seguono le stagioni. La battaglia è iniziata: eccesso contro essenza sul campo della ragionevolezza.
La mostra è costituita da 24 coppie di oggetti. Ogni coppia risponde ad una funzione – mangiare, bere, lavare, scrivere – in modo “essenziale” o “eccessivo”. Disegni di una serie di “cose” che rappresentano gli eccessi di un consumismo superficiale e acritico, eccessi ai quali ci siamo irresponsabilmente assuefatti negli ultimi cinquant’anni e che hanno contribuito all’alterazione ambientale del nostro pianeta. Tre generazioni di benessere rendono impossibile far capire ai nostri figli il concetto di bisogno e necessità. Impossibile spiegare come si viveva senza frigo, senza televisione.
Oggi siamo sopraffatti da tutti quei prodotti di cui potremmo fare tranquillamente a meno, ma che il sistema produttivo, veicolato dalla comunicazione pubblicitaria, da un revisionismo culturale fatto di programmi spazzatura e reality ha ben provveduto a rendere indispensabili per l’uomo. Prodotti chimici contro strumenti meccanici con la stessa funzione (un bicchiere di plastica e uno di vetro…). Una bottiglia di diserbante affiancato a una una piccola zappa, un idraulico liquido accanto a una ventosa, sono solo alcuni esempi. Un invito a farci domande sulle scelte che ognuno fa quotidianamente e a migliorarle per proteggere la terra e tutte le creature che la abitano.
“E’ una mostra basata su un ragionamento: tutto parte da quello di cui abbiamo bisogno, la consapevolezza è che abbiamo bisogno della metà di quello di cui ci circondiamo”, racconta Paolo Ulian. “Dagli anni Cinquanta in poi il consumismo ci ha fatto credere di avere bisogno di tante cose inutili. Oggi è un’abitudine culturale. Il consumismo però ha fallito, è morto di crisi. Allora noi oggi dobbiamo liberarci dai condizionamenti“.
La società dei consumi ha bisogno di consumatori servili e sottomessi che non desiderino più essere degli umani a tutto tondo. Meglio tracciare già ai piccoli la strada della vita armonica, trovare una via semplice a un benessere più sano ed equilibrato. Come quella tracciata da Ulian con la sua mostra, con l’aiuto del figlio. “Questo è un progetto che ho sviluppato insieme al mio bambino. Le associazioni sono quasi tutte frutto della sua mente, quelle aggiunte da me sono pochissime. Poi l’idea di esporla al Museo mi è sembrata geniale vista la ricettività dei bimbi. Un messaggio, però, che passa anche attraverso i genitori che verranno a trovarci. Le famiglie sono il centro di questo passaparola fondamentale per cambiare faccia a questo contemporaneo sprecone”, conclude Ulian.
Un contemporaneo fertile visto come il consumismo è quasi morto semplicemente per l’impossibilità di praticarlo, per la non accessibilità al credito, per l’insostenibilità degli sforzi fisici, mentali e psicologici necessari ad alimentarci, come ci racconta Daniela Ostidich nel libro “Quello che è mio è tuo”.
Per comporre questa piccola mostra Paolo Ulian ha deciso di allestire le coppie di oggetti poggiandole direttamente sulla nuda superficie di altrettanti tavoli di legno, quasi fossero piccoli altari di fronte ai quali l’osservatore è invitato a fermarsi, osservare e interrogarsi. Prossima tappa Reggio Emilia.
Francesca Fradelloni