La vita segreta di tacchini e vacche: non solo animali selvaggi al XVII Gran Paradiso Film Festival
Il piccolo è ancora arruffato, umido, confuso dalla sua venuta al mondo. Ma già determinato: apre gli occhi, gira la testa e, senza la minima esitazione, in uno slancio commovente, corre traballante verso la madre. Il piccolo non è un neonato prodigio, ma un giovane tacchino selvatico appena uscito dall’uovo. E la madre – qui viene il bello – è un baffuto naturalista americano di nome Joe Hutto.
Tenerezza e ironia si fondono nella meravigliosa scena di imprinting che apre il film di David Allen, My life as a turkey (La mia vita da tacchino), in concorso alla XVII edizione del Gran Paradiso Film Festival, dal 26 al 31 agosto a Cogne, in Val d’Aosta. Tratto dal libro Illumination in the Flatwoods, il documentario racconta la straordinaria esperienza di Joe Hutto, che per 18 mesi ha fatto da madre a una quindicina di tacchini selvatici, dall’incubazione delle uova all’inevitabile abbandono del nido con l’arrivo della maturità. «Per oltre un anno non ho visto nessuno, eccetto la mia famiglia. Non è una famiglia come quelle che conoscete. Eppure io sono una madre e questi sono i miei figli». Il rapporto d’amore fra uomo e animali non è cosa insolita, c’è chi lo vive ogni giorno con i propri gatti o cani. Ma quando i protagonisti sono quindici grossi uccelli selvatici (che tra l’altro negli Stati Uniti sono il piatto nazionale…), allora i risvolti si fanno inaspettati. Quello che era partito come un esperimento scientifico sulle orme di Konrad Lorenz, si rivela invece un’avventura esistenziale illuminante. Joe accudisce giorno per giorno i suoi pulcini, gli insegna ad appollaiarsi, li accompagna nell’esplorazione quotidiana del loro habitat (le tipiche pianure boscose – flatwoods – della Florida), li protegge come può dai pericoli, va a caccia di cavallette insieme a loro (assaggiandole anche!) e impara persino a parlare “da tacchino”. Man mano comincia a vedere il mondo con i loro occhi e scopre l’intelligenza tradizionalmente misconosciuta di questi uccelli. Preoccupato inizialmente di cosa poter insegnare ai suoi figli-tacchini, si ritrova invece ad imparare un’importante lezione sulla vita: «Viviamo sempre nell’astrazione del futuro – racconta – I miei tacchini mi hanno ricordato cosa significhi vivere ogni giorno, essere presente, essere qui e ora».
A storie di animali sono dedicate quest’anno tutte le dieci pellicole in concorso per il Trofeo Stambecco d’Oro, che mette in palio un premio di 5.000 euro, assegnato da una giuria popolare e da una giuria tecnica presieduta dall’etologo Danilo Mainardi. Ci sono naturalmente animali esotici, selvaggi, in habitat lontani, ma a spiccare per originalità sono forse i lavori che si concentrano su specie per noi più comuni, tanto comuni da essere spesso ignorate. Così, accanto ai sorprendenti tacchini di David Allen, ritroviamo le api del coinvolgente e documentatissimo More than honey di Markus Imhoof (visto in giugno a CinemAmbiente), ma soprattutto fanno il loro ingresso, in una tradizione documentaristica che le ha sempre un po’ snobbate, le signore dei pascoli: le mucche. Lente e abitudinarie, le vacche non hanno certo l’appeal cinematografico di una tigre, di un lupo o di un gorilla, ma il loro approccio “contemplativo” all’esistenza ha affascinato il regista francese Emmanuel Gras, che in Bovines – La vera vita delle vacche conduce un coraggioso esperimento di cinema-verità seguendo passo passo le lunghe e placide giornate di una mandria. «A cosa pensa una mucca quando fissa, immobile, il vuoto?», si domanda. Il risultato è uno strano, surreale conte philosophique, che di certo ci farà considerare le vacche sotto una nuova luce.
Sul rapporto uomo-animale ruotano anche Le navi del deserto: storie di uomini e cammelli del tedesco Georg Misch e Life Size Memories degli austriaci Frederique Lengaigne e Klaus Reisinger, che raccontano le vite di alcuni elefanti e dei loro addestratori in un viaggio tra India e Sud-Est asiatico. Sempre in India si avventura anche Oliver Goetzl che nel suo Jungle Book Bear va alla ricerca dell’orso labiato, proprio quello che ispirò il tenero e goffo Baloo di Rudyard Kipling. Habitat esotici e incontaminati si vedranno in Madagascar, the lost Makay, in cui il regista francese Pierre Stine documenta la spedizione di un’equipe di scienziati sul massiccio del Makay, in cerca di specie sconosciute in uno dei rari paradisi naturali non intaccati dall’uomo.
Paesaggi naturali inviolati, boschi e foreste vergini esistono ancora – per fortuna – anche in Europa. È lì che gli austriaci Florian Berger e Stefan Polasek hanno girato Il ritorno dell’upupa, la storia della tenacia e della passione di un uomo, il naturalista Manfred Eckenfellner, che, grazie alla sua abilità nel riprodurre il verso del piccolo uccello, è riuscito a riportarlo a vivere nei boschi dell’Austria. Sull’arco alpino, all’interno di grandi parchi naturali, si svolgono anche i pazienti appostamenti di Erik e Anne Lapied, che in Mille et une traces raccontano le loro più emozionanti osservazioni di animali selvatici. Mentre in L’universo verde, il tedesco Jan Haft ci regala uno spettacolare ritratto, tra stupori incantati e terrori ancestrali, della foresta vergine che ancora resiste nel cuore dell’Europa.
Infine, il programma della XVII edizione del Gran Paradiso Film Festival è completato dalla sezione CortoNatura e dal ciclo di incontri e conferenze “De Rerum Natura”, che vedrà tra gli ospiti l’astrofisico Paolo Calcidese, lo scrittore Marco Albino Ferrari e il giurista Valerio Onida.
Giorgia Marino