La CO2 come opportunità di business
“Charles, avrai certamente seguito il crollo della quotazione della tonnellata di CO2 sul mercato delle emissioni per le imprese. Le quote attribuite erano troppo ampie e nessuna impresa ha dovuto cercare di procurarsi sul mercato quote ulteriori. Avevano tutti già rispettato i loro impegni. Ma la regola cambierà. Dato che le imprese emettono sempre più CO2 e che i calcoli per la definizione delle quote diventeranno più rigorosi, il mercato alla fine decollerà e avrà tassi di crescita esorbitanti”.
Non è l’analisi di un analista finanziario, ma – spirito dei tempi – un passaggio del romanzo di Alice Audouin “Emilie. ecologista in carriera” (appena pubblicato in Italia da Edizioni Ambiente), che riassume piuttosto bene la transizione dalla cosiddetta “fase 2″ alla “fase 3″ dell’ Emission Trading Scheme dell’Unione Europea, che si aprirà nel 2013. E anche le speranze che gli operatori del settore ripongono in un salto da un mercato “lungo”, in cui le assegnazioni superano le effettive emissioni, ad un mercato “corto”, in grado di sostenere il prezzo delle quote di emissione.
Se n’è discusso ieri a Palazzo Stelline, a Milano, in occasione del convegno “Il nuovo sistema europeo di scambio delle quote di emissione: la fase post 2012“, organizzato dalla Rappresentanza della Commissione Europea e dal Consolato Britannico di Milano, in collaborazione con la British Chamber of Commerce for Italy e l’Ufficio a Milano del Parlamento Europeo.
Il mercato per le imprese, a cui fa riferimento la Emilie del romanzo, è - come ha ricordato nell’introduzione Mauro Cirillo, dell’Istituto Ricerche per l’Economia e le Finanze – un sottosistema del Protocollo di Kyoto, l’accordo internazionale (in scadenza nel 2012) che disciplina invece le emissioni degli Stati.
Per quanto il Parlamento Europeo abbia sempre ricercato il difficile equilibrio tra le esigenze dell’ambiente e della salute pubblica e quelle delle imprese – come precisato da Maria Grazia Cavenaghi-Smith – le imprese italiane, ha continuato Carlo Corazza, direttore della Rappresentanza della Commissione a Milano, hanno tuttavia sempre dimostrato un certo scetticismo – se non ostilità – verso questo sistema, considerandolo un inopportuno costo aggiuntivo in tempi di crisi e temendo la perdita di competitività che si potrebbe generare dal carbon leakage, fenomeno di asimmetria normativa che, secondo Confindustria, potrebbe spingere alcune aziende a delocalizzare la produzione nei paesi non aderenti ai meccanismi di Kyoto.
Un approccio piuttosto differente da quello dell’omologa CBI, la Confederation of British Industry, illustrato da Matthew Farrow. Dopo un iniziale periodo “reattivo”, CBI ha infatti colto le potenzialità di mercato poste dalle nuove sfide ambientali passando ad un atteggiamento maggiormente “proattivo” nei confronti del governo e dell’opinione pubblica inglese che, secondo i sondaggi, è oggi, per il 90% molto attenta e sensibile alla questione dei cambiamenti climatici.
Le opportunità commerciali che si presentano, ha spiegato Farrow, “valgono potenzialmente miliardi di dollari“. Per questo la Gran Bretagna si sta massicciamente muovendo nel settore automobilistico low carbon, nell’IT e nell’elettronica per l’efficienza energetica, ma soprattutto nell’ingegneria off-shore e sottomarina al servizio delle rinnovabili e nelle nuove frontiere del carbon capture and storage, per guadagnare un vantaggio competitivo ed una leadership che domani potrebbero realmente fare la differenza.
Del resto il sistema ETS sta entrando in una fase più matura che, secondo CBI, merita fiducia, avendo dimostrato di garantire risultati e di sapersi “correggere”, anche attraverso una flessibilità che ha consentito nel 2009, alle aziende in crisi, di vendere le quote di cui non avevano bisogno (a causa di una contrazione della produttività) per realizzare delle entrate.
Secondo Stephen Lowe, primo segretario dell’Ambasciata Britannica di Roma e consigliere sui temi dell’energia e dell’ambiente, da noi intervistato a margine dell’incontro, non si tratta di differenza d’approccio tra le rappresentanze industriali italiane e britanniche, quanto di un certo ritardo di mercato che vede oggi l’Italia nella posizione scettica in cui anche CBI era prima del 2005.
“Negli ultimi 5 anni“, ci ha spiegato Lowe, “abbiamo inoltre assistito in Gran Bretagna ad una sorta di accordo trasversale ai partiti sulle tematiche ambientali. Il nuovo Primo Ministro, David Cameron, ha lavorato molto sulla trasformazione del partito conservatore per renderlo più sensibile a queste tematiche e attento alle questioni che preoccupano i cittadini ed oggi, anche grazie alla Coalizione che ha recepito le istanze dei liberali democratici, possiamo confermare l’impegno concreto del Governo a favore delle energie rinnovabili e di un’economia low-carbon, senza strappi con l’azione precedente“.
Andrea Gandiglio
Leggi su Greenews.info l’intervento integrale di Stephen Lowe