Informazione ambientale: le riflessioni del Forum di Cuneo
Il presidente di Greenaccord Onlus, Alfonso Cauteruccio, aveva inaugurato il IX Forum Internazionale dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura con un messaggio molto forte: “L’attuale forma di democrazia rappresentativa, che prevede di delegare agli eletti la gestione della cosa pubblica, si è dimostrata non sempre in grado di dare le giuste risposte ai problemi ambientali che affliggono l’umanità. Ecco perché bisogna ripensare il modello di democrazia, partendo dall’idea forte che la democrazia è partecipazione”.
Al Forum di Cuneo si sono alternati, nei quattro giorni, quindici relatori – tra economisti, politici filosofi, sociologi, scrittori italiani e stranieri – e oltre cento giornalisti, che hanno discusso sui modi per coinvolgere i cittadini nella gestione dei beni comuni e per introdurre forme di partecipazione sostanziale che superino i difetti dell’attuale modello di democrazia rappresentativa. Con relazioni teoriche e con casi pratici di soluzioni virtuose già sperimentate in giro per il mondo.
Oltre a seguire gli incontri con gli esperti, i giornalisti partecipano a workshop in cui si confrontano tra di loro, per aggiornarsi, comprendere come migliorare il proprio lavoro e capire quali sfide nasconde il futuro dell’informazione, globale, soprattutto riguardo al rapporto tra democrazia e tutela ambientale. Tre gli interessanti workshop realizzati: “Crisi della democrazia e il diritto dei popoli alla gestione comune: il ruolo del giornalista”; “L’interpretazione dei fatti e degli eventi a breve e lungo termine nel conflitto quotidiano tra economia ed ecologia”; “Identificazione e comunicazione dei diversi aspetti dei confitti legati a risorse naturali”. Quest’ultimo ha prodotto delle conclusioni e un testo finale, redatto congiuntamente dai partecipanti, da cui emergono alcuni spunti interessanti, riassunti da Luisella Meozzi, freelance e Presidente di Greenaccord Emilia Romagna.
Innanzitutto: come si identificano le guerre per le risorse naturali? Quanti e quali aspetti possono essere scoperti da un serio giornalismo d’inchiesta? E in quale modo possono essere comunicati? Ne emerge che oggi è indubbiamente più facile, rispetto al passato, identificare i conflitti che nascondono una lotta per l’accaparamento delle risorse naturali . Anche i singoli individui, del resto, riescono ormai a decodificare le ragioni alla base di guerra: pochi credono infatti che i conflitti in Palestina o in Darfur siano per motivi “religiosi”.
Il problema, per i giornalisti inviati a raccontare contesti più ampi e complessi, è dato dalla conoscenza del territorio e dalle reti di interessi che lo circondano. Paesi come Brasile, Cina e India hanno una pluralità di regioni e contesti regolati da assetti naturali, socio-economici e politici per cui, per un corrispondente, risulta estremamente complicato districare le maglie degli interessi, ricostruire e successivamente riportare le dinamiche alla base di scontri sociali riguardo alla gestione delle risorse naturali. Solo giornalisti sempre più specializzati saranno in grado di analizzare fedelmente questa complessità.
Ma esistono dei “campanelli d’allarme” per individuare facilmente un conflitto sulle risorse naturali? Migrazioni, spostamenti forzosi, cambiamenti nell’uso della terra, cibo considerato come merce e non come diritto umano, uso non sostenibile delle risorse naturali. O ancora, violazione di diritti umani e conflitti di interessi. Questi fenomeni accompagnano solitamente (e talvolta precedono) le tensioni per il controllo delle risorse.
L’uso dei new media può essere più efficace dei media tradizionali nel comunicare queste emergenze al pubblico (eppure solo 7 dei 15 giornalisti partecipanti al workshop usano new media). La difficoltà di esercitare un controllo sui new media significa niente censura, ma nello stesso tempo il rischio di una lavoro “giornalistico” non fatto da professionisti: la diffusa mancanza di deontologia e professionalità dei dilettanti minaccia, del resto, l’immagine di tutto il giornalismo realizzato sul web. Su internet – e in particolar modo sui social network – gli autori possono rimanere anonimi. Questo può essere un vantaggio nei paesi governati da regimi in cui non esiste la libertà di stampa. Ma è vero anche il contrario, ovvero che potrebbero essere introdotte “nel sistema dell’informazione” false notizie. La questione della fonte rimane perciò aperta e problematica.
Ci sono poi gli aspetti linguistici della comunicazione giornalistica da tenere in considerazione. Nel caso di argomenti molto intricati, la semplicità del linguaggio va necessariamente ricercata, e anche la modalità attraverso cui “passare” la notizia. Il punto non è solo: twitter o il blog? ma valutare, a seconda della situazione, il medium più efficace. Non esiste, come noto, un mezzo perfetto: in Giappone i newspapers la fanno ancora da padroni, in Cina (a causa della censura) twitter per i suoi messaggi istantanei veloci e democratici, mentre blog e web magazine sono uno strumento di grande successo in tutto il mondo.
In defintiva, ai “nuovi” giornalisti serve un aggiornamento continuo e una crescente specializzazione. Ma rimane fondamentale anche un buon network, dove i giornalisti della carta stampata comunichino con quelli del web e della TV. Serve oggi più che mai che l’informazione sia realmente globale e questo può accadere solo attraverso lo scambio di informazioni e la collaborazione tra giornalisti.
Clara Iannarelli