“Cultus loci”, il racconto di un paesaggio rurale nel saggio di Dario Rei
Ha preso avvio il 29 ottobre ottobre scorso il nuovo ciclo di “Incontri con il paesaggio”, realizzati nell’ambito dell’attività didattica del corso di laurea magistrale interateneo in Progettazione delle aree verdi e del paesaggio tra l’Università degli Studi di Torino, il Politecnico, l’Università degli Studi di Genova e l’Università degli Studi di Milano. Il grande successo delle precedenti edizioni è stato di stimolo per l’organizzazione di un nuovo ciclo di seminari, che prevede approfondimenti sulle tematiche del paesaggio, del giardino storico, della sostenibilità e della formazione. All’incontro di fine ottobre sono intervenuti il Prof. De Vecchi, dell’Università degli Studi di Torino e il Prof. Emanuele Bruzzone in qualità di moderatore. Ospite, Dario Rei, sociologo e docente del Dipartimento di Culture, Politica e Società all’Università di Torino, che ha presentato il suo nuovo libro “Cultus Loci, Cura animi, Racconto di un paesaggio rurale”(DiffusioneImmagine Editore). Il titolo dell’opera è la cornice simbolica che inquadra l’oggetto del saggio: una micro-area fra Torino ed Asti, avente come comune attrattore la Canonica di Santa Maria di Vezzolano, storico monumento del Monferrato. La prospettiva che si pone l’autore è quella di delineare un futuro possibile per i paesaggi rurali in Piemonte, in un momento storico in cui c’è grande apertura ad una pluralità di trasformazioni.
In “Cultus loci”, Dario Rei invita ad una riflessione consapevole sul paesaggio, a partire dal divario di percezione tra chi il paesaggio lo vive da autoctono e chi lo fruisce da esterno. Il testo nasce dalla sua personale esperienza di vita: «Lasciai Torino a metà anni Novanta per andare a risiedere stabilmente in una posizione poco discosta dalla Canonica», racconta. «Occuparmi del territorio dove venivo a risiedere ha voluto dire attivare il mio interesse a nuovi argomenti, relativi al patrimonio culturale e paesaggistico e far nascere il mio sensus loci, facendomi riconsiderare il senso di appartenenza come identità storica».
Non basta però scollinare i confini geografici per avere la sensazione di esser approdati ad un nuovo territorio e non sempre si hanno a disposizione ricerche o studi che facciano riconoscere le specificità dei tratti culturali e storici del luogo che si ha di fronte: le capacità di discernerne i contenuti etnici derivano da un lungo e partecipato vissuto su quei territori. In Francia i sociologi sottolineano come le 3 P (Pais, Paysage, Paysant) siano una triade imprescindibile e fortemente unita, a partire dalla quale si deve iniziare a ragionare per declinarla nel mondo rurale agricolo.
Il testo di Rei indaga il territorio ricercando anche nelle più marginali informazioni del passato, le ragioni storiche dell’area, dando vita ad una documentata interpretazione ed analisi dei saperi della tradizione locale. «Nel mio studio mi sono reso conto che la maggioranza degli autoctoni conosce appena la storia passata e quello che è incredibile è che più ci si avvicina al passato prossimo e meno si conosce la storia. C’è una sorta di presbiopia, una zona grigia che non siamo in grado di indagare. Per questo nel mio testo ho cercato di riprendere elementi di storia recente e di scrivere le caratteristiche dell’area, così come si presenta oggi» sostiene l’autore.
La scelta del luogo in cui si va ad abitare, afferma del resto, il sociologo Richard Florida, è una decisione di vita: il paesaggio rappresenta l’identità culturale delle persone che lo abitano ed indagarlo equivale ad aver memoria della propria storia. Rei parla di Eutopia, cioè la capacità di innestare l’antico patrimonio nella nostra vita contemporanea al fine di usare dei semi per costruire una società neo-rurale: ma le risorse di cultura, memoria ed esperienze pregresse sono sufficienti per delineare una nuova direzione, che non sia una rappresentazione statica e nostalgica della vecchia società? Carandini, che Rei cita nel suo libro, afferma: «non aveva fatto in tempo l’industrialismo a manifestarsi nel modo più vistoso, obliterando il mondo contadino e cementificando il territorio, che subito si è fatto post-industrialismo, in una cadenza congestionata di tempi mai conosciuta, per cui molti della nostra generazione hanno vissuto in pochi decenni intere ere di sviluppo dell’umanità». La nuova società neo-rurale dovrebbe fondarsi non sulla nostalgia, presenza scomparsa, ma su un rimpianto fecondo, in modo che esso possa diventare utile al nostro futuro.
Un’interpretazione attiva e responsabile di trasformazione risiede nell’integrazione tra la tutela dei beni e la costruzione di una nuova identità, realizzando uno sforzo progettuale che sappia unire in modo virtuoso il genius loci all’ingenium loci. «La gestione dei beni architettonici ed ambientali è fondamentale per redigere progetti di elevato valore dimostrativo e stimolare processi di governance adeguata, come è altrettanto fondamentale diffondere comportamenti, sia individuali che collettivi, consapevoli, economicamente ed ecologicamente sostenibili anche nel lungo termine» sottolinea Rei. La cura dei nostri luoghi, segno identificatore di una società eutopica, nasce dalla ricerca di una corrispondenza biunivoca fra paesaggio interiore e paesaggio esteriore.
Il ruolo dell’architettura, in questo delicato rapporto, è fondamentale: deve abbellire il paesaggio, non disonorarlo. Esiste una moralità nel costruire, che deve saper coniugare memoria e futuro, vita quotidiana e slancio immaginativo del domani. Rei conclude con un invito alla responsabilizzazione della civitas: «La domanda cruciale che dobbiamo porci è di quale passato si voglia essere interpreti, perché la sua risposta comporta delle scelte di responsabilità e libertà creativa coerente con la tradizione. Ma la riuscita delle sintesi tentate dipende interamente da noi, non da chi ci ha preceduto».
Valentina Burgassi