Confessioni di un eco-peccatore al Festival dell’Energia di Lecce
In occasione della terza edizione del Festival dell’Energia, in corso a Lecce fino al 23 maggio, abbiamo intervistato in esclusiva il giornalista scientifico ed esperto di ambiente Fred Pearce sui temi della conferenza di domani alle 15.30 presso i Chiostri Teatini di via Vittorio Emanuele.
La conferenza di Fred Pearce al Festival dell’Energia di Lecce, dato il contesto, verterà sui temi trattati nel libro Confessioni di un eco-peccatore: un viaggio all’origine delle cose che compriamo in cui Pearce ha seguito un itinerario di quasi 200.000 chilometri attraverso una ventina di Nazioni, dal Congo alla Tanzania alla Cina e al Bangladesh. Un viaggio che prende l’avvio da una domanda apparentemente semplice – e, nel caso di Pearce, con risvolti personali purtroppo tragici: da dove provengono tutte le componenti di un telefono cellulare? Il cellulare in questione è quello di Joe Pearce, figlio di Fred, morto all’improvviso mentre faceva jogging all’età di 19 anni a causa di una malformazione cardiaca mai diagnosticata.
Il giornalista, ripercorrendo a ritroso la “vita” di questo telefono Nokia 2003, ha scoperto un mondo incredibile, fatto di città letteralmente create dall’industria dei cellulari – come la cinese Shenzen -, minerali potenzialmente pericolosi estratti dalle viscere della Terra arricchendo signori della guerra congolesi e, fortunatamente, anche un finale più lieto: tra i tanti modi possibili di smaltire un cellulare non più utilizzato, infatti, Pearce ne ha scoperto uno “eticamente buono”. Il cellulare di Joe, infatti, è stato affidato alla piccola società Phones for Africa, con sede in Tanzania, che usa i ricavi della vendita per finanziare le attività di Wonder Welders, una impresa ancora più piccola che consente ai ragazzi del luogo di specializzarsi come artigiani e fabbricare e vendere sculture di animali.
D) Perché ha deciso di definirsi un “eco-peccatore”? Pensa davvero che essere un consumatore ed essere un peccatore altro non siano che due facce della stessa medaglia?
R) Siamo tutti eco-peccatori. Tutti noi abbiamo un impatto terribile sul nostro pianeta a causa di ciò che consumiamo. D’altro canto, mi interessava capire se possiamo anche fare qualcosa di buono, specialmente dal punto di vista sociale, come ad esempio comprando merci equosolidali e così via. Ho scelto di inserire nel titolo del libro la parola “confessioni” perché non volevo che fosse un libro che dice alla gente ciò che deve fare. Mi sono limitato a investigare, con tutta l’onestà possibile, i miei impatti (buoni e meno buoni) sul pianeta e sui suoi abitanti.
D) In base alla sua esperienza, dovremmo smettere di comprare beni importati (a causa dei grandi costi ambientali che ne derivano), oppure continuare a comprarli con la speranza di migliorare l’economia delle nazioni più povere? O esiste forse una terza via?
R) Non è sempre detto che sia giusto smettere. L’impronta ambientale dovuta ai trasporti, molto spesso, è soltanto una piccola parte dell’impronta complessiva di un prodotto. Ci sono anche questioni etiche relative al miglioramento delle condizioni di vita della gente che lavora nei Paesi in via di sviluppo, tipicamente molto poveri. In queste Nazioni molte delle nostre attività hanno effetti nocivi, ma in alcuni casi particolari – come quello degli agricoltori kenioti che coltivano fagioli – mi è sembrato chiaro che comprare ciò che producono sia una “buona azione”. Non è sempre così semplice, tuttavia: spesso ciò che è buono per l’ambiente non lo è dal punto di vista sociale, e viceversa. E alcuni potrebbero avere un’idea diversa dalla mia su dove è situato il punto di equilibrio… Il mio intento – e la mia speranza – consistono nell’incoraggiare la gente a riflettere su queste tematiche.
D) Durante il suo viaggio ha vissuto momenti in cui si è sentito particolarmente sfiduciato?
R) Sì, in effetti i momenti in cui ho perso il mio senso dell’ottimismo sono stati molti. In quelle che una volta erano le coste del Mare di Aral, ad esempio, e quando ho parlato con gli allevatori di gamberi in Bangladesh. E devo dire che, più recentemente, anche quando sono stato alla Conferenza sul Clima di Copenhagen ho fatto molta fatica.
D) Leggendo il suo libro, tuttavia, sembra che, alla fin fine, lei sia un ottimista: è d’accordo con questa interpretazione?
R) Sì, sono ottimista perché sono in grado di vedere come possiamo migliorare il mondo, come fare le cose in modo migliore. Naturalmente è anche possibile che non stiamo facendo le cose giuste. Facciamo così tante cose sbagliate, a dire il vero, che a volte mi ritrovo a essere piuttosto pessimista, come nei casi citati in precedenza. Tuttavia, secondo me molti ambientalisti sono caduti nella trappola del pessimismo, mentre io sono convinto che l’ottimismo sia fondamentale. Perché, se diventiamo troppo pessimisti, smetteremo di provare a migliorare le cose.
Eva Filoramo
Fred Pearce, giornalista scientifico e consulente ambientale di New Scientist, collabora regolarmente con The Independent, The Guardian e con il London Daily Telegraph e ha scritto svariati rapporti per l’UNEP, la Banca Mondiale e per l’Agenzia Europea per l’Ambiente. Nel 2001 è stato nominato giornalista ambientale dell’anno in Gran Bretagna. È autore di numerosi libri, tra cui Un pianeta senz’acqua (il Saggiatore 2006), Confessioni di un eco-peccatore (Edizioni Ambiente, 2009) e il più recente Il pianeta del futuro (Bruno Mondadori, 2010), in cui si è concentrato sugli andamenti demografici della popolazione umana e sui possibili scenari futuri.