Cinemambiente, ovazione per il film da Oscar contro la mattanza dei delfini
Sarà il mese (il Festival trasloca per il primo anno da ottobre a giugno), sarà l’inquietante marea nera che invade inarrestabile le coste della Louisiana ma, mai come ora, si era sentita voglia di Cinemambiente. E i numeri lo dimostrano.
Martedì sera, alla serata inaugurale della manifestazione – che durerà fino a domenica 6 giugno - la sala 1 del Cinema Massimo di Torino era colma come nelle migliori soirée cinematografiche. Addirittura c’era chi, già dalle 18, faceva la coda per accaparrarsi il biglietto, con posti prenotati sin dalle prime ore del pomeriggio.
A battezzare il cinema “verde” il premio Oscar, Richard O’ Barry, con il suo “The Cove”, docu-film di denuncia sulla mattanza dei delfini nella piccola infernale baia di Tajii, in Giappone. Preceduto da un altro piccolo capolavoro vincitore della Statuetta come miglior film d’animazione, “Logorama”, un irriverente cartoon futuristico, realizzato dal collettivo francese H5, alias Francois Alaux, Hervé de Crécy e Ludovic Houplain, alla loro prima prova filmografica, ma già registi di successo di videoclip per gruppi musicali come i Massive Attack e i Royksopp.
Un antipasto che non poteva essere migliore, per la più importante rassegna italiana dedicata alle pellicole a tema ambientale, giunta quest’anno alla 12esima edizione. “La riscossa del cinema ambientalista sta portando i suoi frutti – dichiara soddisfatto il direttore Gaetano Capizzi. “Ogni giorno sui mezzi d’informazione compaiono articoli e servizi sulle emergenze ambientali e l’evidenza di questi fatti investe anche il grande schermo con la forza di un ciclone”.
Insieme a Capizzi, tra le autorità presenti in sala, il direttore del Museo del Cinema Alessandro Barbera e gli assessori all’Ambiente del Comune e della Provincia di Torino Domenico Tricarico e Roberto Ronco.
Dopo i saluti di rito, qualche minuto per la panoramica sulle sezioni del concorso (documentari internazionali, cortometraggi internazionali, documentari italiani, “panorama”, “ecokids” e poi molti eventi speciali collaterali) che eleggerà il vincitore domenica 6 alle 21 e poi via alle proiezioni. Due ore intense. Un primo tempo lieve, un secondo amaro, amarissimo.
Subito i 16 minuti di “Logorama”. Il cartoon francese piace, delicato e tagliente al tempo stesso, a slalom tra il sarcasmo dei cartoon alla South Park e il “buonismo” da famigliola felice dei Simspon. I 3 registi si sono inventati una Los Angeles trasfigurata, invasa, ad ogni angolo, di strade, palazzi, case, negozi, auto, “loggate” delle firme delle grandi multinazionali. Duemilacinquecento, tra omini Michelin, patatine Pringles parlanti, conigliette di Playboy, coccodrilli della Lacoste, terroristi trafficanti d’armi impersonati dal pagliaccio della McDonald. Fino alla distruzione della civiltà del consumo, di cui sopravvivono due esseri viventi: una donna (la pupazzetta della Esso) e un bambino (il piccolo delle caramelle Haribo), messi in salvo nientedimeno che da un albero. Miracolo verde nel mondo di plastica. Il documentario si chiude con i protagonisti che, in un’isola di pace e sola natura, sgranocchiano una mela, circondati ai quattro lati dal mare blu.
Con la seconda proiezione il protagonista assoluto è Richard O’ Berry, con un lungo e forte documentario che testimonia il massacro dei mammiferi blu sulle coste giapponesi, coronato da lunghi applausi e domande dei presenti. Un bellissimo lavoro d’inchiesta, nato dall’incontro fortunato tra quest’uomo (che nella sua “prima vita” è stato allevatore delle delfine protagoniste della serie tv “Flipper”), e Louie Psihoyos, fotografo del mondo subacqueo tra i più stimati al mondo.
Insieme a un gruppo di attivisti, campioni d’immersione senza bombole e filmmaker, i due hanno escogitato un piano per registrare con le telecamere sott’acqua le uccisioni, piazzandole nottetempo, di nascosto dalle autorità giapponesi che gli stavano alle costole con la minaccia di arrestarli.
Nonostante le angoscianti scene di sangue e la pietà per i piccoli e intelligenti delfini, i 90 minuti non annoiano mai. Sono pensati come documentario, ma con una buona resa cinematografica grazie alla colonna sonora e al montaggio, che ricorda a tratti il genere horror.
Di horror (vero, reale e inarrestabile, come denunciato dalle Nazioni Unite) del resto si tratta: 23 mila mammiferi giustiziati ogni anno nella baia di TaJii. Finiscono sulle tavole, nelle mense dei bambini delle scuole, pericolo mortale per la salute delle persone perché imbottiti di un elevatissimo contenuto di mercurio, cadmio, zinco che i giapponesi gettano criminalmente nelle acque degli oceani. Tristemente celebre, a questo proposito, il massacro di Minamata, che cinquant’anni fa fece 2000 vittime da mercurio. Ma molti, ancora oggi, continuano ad ammalarsi dopo aver mangiato pesci avvelenati.
“Delfini venduti come pregiate balene sulle tavole dei ristoranti sushi di Tokyo o Osaka, dice O’ Barry, che poi assicura: “Non in Italia, state tranquilli. Il commercio illegale del pesce inquinato da mercurio non mi risulta che arrivi fin qui”.
Delfini ammazzati centinaia alla volta. Oppure catturati. Obiettivo: fatturare milioni di euro. Direzione: le maxi piscine dei parchi acquatici di tutto il mondo, a cominciare da America e Europa. E’ questo il business più fiorente della Yakuza, la mafia giapponese, con il pesce di Tajii. Un affare che vale 150 milioni di dollari, per rifornire i parchi divertimenti, con buona pace dei bambini e dei genitori che li accompagnano.
“Il più grande regalo, l’azione più pratica e utile che potete fare voi, lontani da Tajii – dice O’Berry – è di non comprare il biglietto per gli spettacoli con i delfini. Fate fallire questo business multimilionario. Io per primo l’ho innescato con il telefilm Flipper, me ne rendo conto, e non smetto mai di pentirmene”. “Questi criminali – è la pesante denuncia di O’Berry – stanno trasformando una delle più intelligenti e sensibili forme di vita in vittime di un inferno che si consuma ogni giorno, da settembre a maggio, perpetrato dal governo giapponese con il controllo diretto di una commissione nominata dall’Onu, di nome Iwc”.
Il documentario di O’ Barry il prossimo 26 giugno sarà trasmesso per la prima volta in 27 cinema del Giappone. Il regista tuttavia, non soddisfatto, rincara la dose: “Il più grande male del popolo giapponese è la disinformazione, che il governo porta avanti con un sistematico oscuramento mediatico di tutte le notizie scomode. Finché non si vince questa battaglia di civiltà e non si fa smettere questo orrore legalizzato, non sarà possibile vincerne alcuna altra”.
Letizia Tortello