Artefiera Bologna: recycling first
Si è aperta ieri a Bologna Artefiera – Art First, la 35a edizione della rassegna internazionale di arte contemporanea più nota in Italia.
Come già per Artissima, a Torino, abbiamo voluto visitare la fiera con uno sguardo inconsueto, attenti a un aspetto non certo nuovo per l’arte (per lo meno a partire dall’Arte Povera), ma a nostro avviso sempre attraente nei suoi esiti multiformi: il riciclo dei materiali nelle opere d’arte.
Per quanto la green economy e il “green thinking” stiano progressivamente permeando la società e l’immaginario collettivo, non si può dire che questo tipo di opere sia prevalente in fiera (la creatività artistica ha un suo corso, non sempre allineato con altri fenomeni sociali), né, tanto meno, che gli artisti che vi si cimentano siano necessariamente mossi da motivazioni “ambientaliste“. Ma poco conta, il risultato è interessante e, come spesso accade, l’arte può fungere da stimolo e apripista a fenomeni su più larga scala, nonché influenzare la nostra quotidianità.
E’ così che, girovagando tra gli stand delle gallerie senza una meta prefissata, lasciamo che sia l’occhio, deformato professionalmente, a cadere su alcuni esemplari che attraggono la nostra curiosità per l’evidenza immediata del ricorso a materiali di recupero.
In Made in England del 2008, il newyorkese Tom Sachs assembla minuziosamente, in una cassa di legno grezzo, bottiglie di Jack Daniel’s, pacchetti di sigarette, pistole, molle e proiettili, in un’inconsueta valigetta degli “effetti personali” che ricorda un rudimentale quanto ingegnoso flipper fai-da-te. “Il bricolage è il cuore del suo lavoro”, ci spiega David Leiber, direttore della Galleria Sperone Westwater di New York. “Sachs cerca delle cose che per molti sono spazzatura, oggetti abbandonati e li recupera per dare loro un’altra forma, una nuova vita“.
E’questa infatti l’essenza autentica del bricoleur. ”Il grande bricoleur – scrive Simone Mazzucconi, autore del curioso sito l’Arte di Arrangiarsi - non è qualcuno che sa fissare le mensole di un armadio o montare un tavolinetto IKEA. Il Bricoleur (con la B maiuscola) è qualcuno che elabora continuamente il materiale a sua disposizione e quello del mondo che lo circonda per escogitare possibilità combinatorie e creative.”
Sachs non si ferma, per altro, agli oggetti di uso “comune”, ma nelle sue opere inserisce spesso armi e pistole. “C’è sempre un’ambiguità nel suo lavoro, tra quello che ama e quello che odia, tra ciò che lo attrae e ciò per cui prova repulsione”, precisa Leiber, “ma questa tensione è sfumata, non sempre è bianca o nera. La violenza purtroppo, e quindi anche le armi, sono parte della nostra vita e sono oggetti che non si possono ignorare. Sachs è estremamente preciso nel ricollocare ogni oggetto riciclato all’interno dell’opera: ogni cosa al suo posto, da vero bricoleur.” Tanto che molte sue opere funzionano, esempio di ingegnose macchine ricavate da oggetti destinati alla spazzatura.
Tree_Installation, da Nicoletta Rusconi, è invece una “scultura” da parete dell’americano Tony Brown (2006), in cui 80 piccoli disegni di un albero di ficus, caratteristico dell’area di Los Angeles, sono incornicati con telai di vecchie finestre di legno selezionati, tagliati e assemblati in modo da creare un effetto simile a una veduta aerea dei tetti di una città immaginaria. In un’altra serie di lavori Brown, che recupera oggetti e materiali di scarto nell’ambiente in cui vive per ”spianarli” e trasformarli in composizioni simili a dipinti, seziona e riutilizza vecchie sedie, divani e lavagne ottenendo delle sculture bidimensionali di grande impatto estetico. “Sento che fare arte è come sognare di proposito, e comporta una rigorosa ricerca della bellezza in mezzo a materiali che sono stati messi da parte“, srive l’artista. Una filosofia del riuso non priva di ambizioni didattiche: ”Il mio lavoro mi permette di vedere l’ambiente circostante in un modo che è poetico piuttosto che sbrigativo. Spero che provochi un effetto simile su coloro che lo guardano, forse anche modificando il loro modo di vedere il mondo“.
Il napoletano Giuseppe Maraniello espone da Cardelli & Fontana ”Il gambo dei fiori“, un’opera da parete di grandi dimensioni realizzata con tavole di legno recuperato e inserti in tela e bronzo. Esempio di una concezione d’arte che, pur non essendo necessariamente dedita al riciclo di materia, si ispira sicuramente a un minimalismo che tanto piacerebbe ai critici dello spreco e della sovrabbondanza: “Ho sempre avuto interesse”, dichiara infatti l’autore in un’intervista con Tommaso Trini, ”a realizzare lavori con mezzi minimi, magari solo con un fil di ferro“.
Da Contini si trova una serie di ritratti di superstar internazionali realizzati da Enzo Fiore, allievo di Luciano Fabro all’Accademia di Brera. Da John Lennon a Marylin Monroe e Jimi Hendrix, ma anche grandi nomi della pittura come Renoir, Dalì, Bacon, Kiefer, tutti realizzati con materiali naturali grezzi impastati tra loro: muschio, resina, pietre, terra, foglie, radici.
Gariboldi espone “Rilievo scuro“, dell’astrattista parmigiano Ettore Colla, un assemblage murale del 1957 in ferro recuperato da una nave e lamiera con giunture bullonate. Fondatore del Gruppo Origine, nel 1950, insieme ad un altro maestro della materia bruta come Alberto Burri, dalla metà degli anni ’50 Colla definisce una propria linea artistica attraverso assemblaggi che, per il ricorso a elementi di recupero, prevalentemente in ferro, lo avvicinano alla poetica dadaista degli object trouvé, di autori come Francis Picabia o Marcel Duchamp.
La nostra selezione cade infine sul giovane artista romano Paolo W. Tamburella, che espone alla veronese Fama Gallery “Comoros#4” (2009), una teca contenente un “arazzo” di vecchi palloni da calcio, appartenenti alla serie Footballs. Per Tamburella il processo di creazione artistica comincia sempre con il ritrovamento e il riuso di oggetti dimenticati, inutilizzati e smarriti – in questo caso vecchi palloni da calcio in cuoio, pazientemente raccolti durante un viaggio in camion di 4.000 km. in India, nel 2006, sgonfiati e cuciti tra loro.
Andrea Gandiglio