Arte Fiera a Bologna: spazio ai materiali naturali e al riuso
Clima da belle epoque in pianura padana. Arte fiera, la fiera internazionale di arte contemporanea che chiude oggi a Bologna è una parentesi di bellezza e creatività in tempi cupi di crisi globale e debiti sovrani, giusto negli stessi giorni del Forum di Davos. Giunta alla 36sima edizione, Art First (il suo secondo nome) invade il capoluogo felsineo e con Artefiera Off anima la città di un corollario di oltre cento iniziative, tra mostre, film, festival, installazioni, interventi “site specific” e appuntamenti con artisti di fama.
Oltre ai filoni principali dell’arte povera e della transavanguardia, molto apprezzati dal mercato dei collezionisti, non mancano, fra gli stand delle centocinquanta gallerie presenti, dipinti e sculture incentrati sul riuso dei materiali più disparati, dal poco nobile polistirolo al legno carbonizzato, dai rifiuti arrugginiti a plastiche da imballaggi, carta e resine naturali. Tutto sembra ritrovare vita, perfino la materia consumata e inerte. Nella fotografia, invece, formati inusuali o scatti vintage di aree urbane assurgono a significati nuovi.
Così è per Aron Demetz, artista della Val Gardena proposto dalla Galleria Goethe di Bolzano: “Demetz lavora molto su materiali naturali: dal tronco scolpito la forma viene fuori come l’anima che si riappropria della materia” spiega Alessandro Casciaro, art director. Impressionante la serie di sculture ricavate da tronchi intagliati ospitata dalla Biennale di Venezia del 2009. “Tragedia dell’univocità” è invece un’opera composta di due elementi: una sagoma umana, in bronzo, è lavorata come legno bruciato e posta davanti a una casetta scolpita da un tronco di sequoia carbonizzato. Marcello Jori, invece, “lavora sulla matericità e la prospettiva” e negli olii della serie “Foresta” “la natura è un riferimento architettonico” conclude l’espositore.
Interessante anche la commistione con le tecnologie recenti, come gli iPad coinvolti nel multilinguaggio di Jelena Vasiljev. L’artista serba, milanese d’adozione, delle sue performances andate in scena lo scorso anno espone ora i video e tre pannelli fotografici. “La pianta che è in mano all’artista è una sorta di prolungamento umano, di simbolo della vita, come un figlio” spiega la gallerista di Gagliardi art system di Torino “e l’opera qui esposta è un work in progress, destinato a una fusione plastica di braccia e pianta protese verso lo spettatore”. Della stessa galleria anche l’opera di Fabio Viale, una grande cassetta da ortofrutta in plastica bianca, rivoltata e deformata, attorno a cui gli spettatori ruotano incuriositi.
Sempre con materiali recuperati, riassemblati, lavorati, forgiati dall’ispirazione dell’artista, lavora anche Huma Bhaba, pakistana cinquantenne ormai quotata negli Usa. Il suo “Untitled” del 2011 è un totem a forma di donna, in sughero, dalla superficie scabra e brunita. In “Th Bounty Killart” una rete metallica avvolge e trattiene parti di legno, viti e polistirolo colorato: ne emerge un teschio deforme, appoggiato su una base di legno. “I suoi lavori con materiali recuperati sono stati definiti “macerie umane” – racconta l’espositore – hanno sempre forme molto dure e richiami tribali”. La stessa Bhaba, in un’intervista, dichiara che “l’arte è un mal di pancia che avvisa il mondo di ciò che sta accadendo”.
“A bordo del cuore d’oro” – citazione dal romanzo di Douglas Adams “Guida galattica per autostoppisti” – è un percorso artistico realizzato da Julia Draganovic attraverso undici luoghi monumentali della città, un invito allo spettatore a un viaggio di riflessione. E tra gli spazi urbani sono ambientati gli scatti rigorosamente in bianco e nero di Gabriele Basilico. Di forte suggestione, la fotografia di Basilico restituisce un ritratto inedito di Milano: la monumentalità dei palazzi pubblici degli anni Trenta, una città di spazi deserti, tutta geometrie razionaliste nelle facciate d’epoca fascista. Una città di pietra e di vetro, quasi un monito a un possibile mondo post umano.
Cristina Gentile