“Ambiente in Europa”: una leadership (inconsapevole) per l’Italia
Prima nell’uso delle risorse, prima per l’efficienza energetica, prima nella conversione green dell’economia. Ma tutto questo avviene a sua insaputa. Secondo i dati raccolti nell’ultima edizione del rapporto di Legambiente “Ambiente in Europa“ – presentato alla stampa la scorsa settimana - l’Italia, numeri alla mano, vanta una leadership relativamente recente in questi settori, grazie a un’economia verde “inconsapevole” che le ha permesso superare il campione europeo per eccellenza della green economy, la Germania.
“Il nostro Paese”, racconta Duccio Bianchi dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia che ha collaborato alla realizzazione del volume, “ha prestazioni eccezionali e vanta solide basi green, solo che non si racconta né si percepisce per quello che è perché è del tutto assente una strategia in chiave ambientale della propria economia“. La ragione fondamentale risiede, secondo Bianchi, nell’incapacità delle “politiche pubbliche di percepire la modernità degli investimenti di riconversione ecologica dell’economia”. E infatti, il problema dell’abusivismo, quello della propensione al dissesto idrogeologico – “vissuto sempre come evento eccezionale” – stanno a dimostrare che la leadership italiana, in ambito green, c’è ma esclusivamente con riguardo a quei profili che non ricadono sotto l’egida delle politiche pubbliche che, spesso, si sono rivelate fallimentari. Anche le politiche ambientali “sono messe in campo un po’ per finta“, conclude Bianchi: un esempio è rappresentato dal bike sharing che, sulla carta, vedrebbe l’Italia primeggiare nella lista dei Paesi – in tutto il mondo – che per numero di città ne incentivano di più l’uso. Non è così: in realtà, “molte città italiane fingono di incoraggiare questo strumento di mobilità sostenibile, quando non è così nell’offerta concreta del servizio“.
In Italia, dunque, sostiene e documenta il rapporto di Legambiente (che si articola in due parti: la prima sulla quasi scomparsa dei Verdi e la seconda sull’enorme crescita inconsapevole della green economy italiana), la produttività di risorse (Pil in rapporto alla quantità di materia consumata) è infatti migliore del 10% rispetto alla Germania e del 26% rispetto all’UE; le emissioni pro capite di CO2 sono inferiori del 23% rispetto a quelle tedesche e del 15% rispetto alla media UE. I consumi procapite di energia, sempre rispetto a Germania e UE, sono rispettivamente inferiori del 32% e del 19%; l’intensità energetica (consumi di energia rispetto al Pil) è inferiore del 10% rispetto a quella tedesca e del 14% rispetto alla media Ue.
Le good news non finiscono qui. Sempre secondo i dati di “Ambiente in Europa”, l’Italia consuma e importa meno materia. Se in Germania il consumo assoluto è diminuito del 6% e la produttività è cresciuta del 21%, in Italia si registrano i progressi più vistosi dell’intera Unione Europea: il consumo assoluto è diminuito del 23%, la produttività delle risorse è cresciuta del 35%. Ancora: l’Italia è il leader europeo nell’industria del riciclo, in particolare per il riciclo dei metalli ferrosi, plastica, tessili. Anche sul totale dei rifiuti, escludendo solo quelli minerali e vegetali, la Penisola con 37 milioni di tonnellate avviate a recupero, è il secondo paese europeo per valore assoluto di recupero, appena dietro la Germania e ben sopra a paesi come la Francia o la Gran Bretagna.
Nel settore della gestione dei rifiuti urbani, è invece in affanno e questo dato conferma la debolezza delle politiche pubbliche: nel riciclo le percentuali sono 19,7% per l’Italia e 45,3% per la Germania; nel compostaggio e digestione anaerobica 11,8% per l’Italia e 17,2% per la Germania; incenerimento 16,5% per l’Italia e 36,9% per la Germania, trattamento in discarica 46,3% per l’Italia contro l’0,5% della Germania; altro trattamento 5,7% per l’Italia contro lo 0,0% della Germania.
Sul fronte energetico, tra il 2008 e il 2012, negli anni della recessione, nello Stivale la quota di rinnovabili nei consumi energetici totali è passata dall’8% al 14%. Miglioramenti si registrano anche nella quota di rinnovabili nei consumi elettrici che si attesta al 39% contro il 23,5% della Germania. In particolare nel settore elettrico, la Penisola diventa il terzo principale produttore europeo di elettricità sia dall’insieme di rinnovabili (dopo Germania e Svezia) sia dalle rinnovabili non idroelettriche (dopo Germania e Spagna). Inoltre l’Italia è il primo produttore di geotermoelettrico, il secondo produttore di fotovoltaico (dopo la Germania), il terzo produttore d’idroelettrico (dopo Svezia e Francia) e da bioenergie (dopo Germania e Gran Bretagna), il quinto produttore di eolico (dopo Spagna, Germania, Gran Bretagna, Francia).
Per quanto riguarda il consumo di suolo, si legge nel dossier, ciò che colpisce “in Italia è il sovrapporsi di due fenomeni: l’urbanizzazione delle coste e l’abusivismo. Il primo è il prodotto di politiche urbanistiche che hanno assecondato e stimolato insediamenti residenziali, speculazioni turistiche, espansioni di aree industriali; il secondo, l’abusivismo edilizio, è un fenomeno nazionale tutto italiano”. Se l’Italia consuma meno risorse, meno energia e meno emissioni rispetto alla Germania, è invece ancora indietro sul fronte della mobilità e su altre politiche di qualità ambientale e di tutela del territorio: l’Italia resta ai vertici europei con 610 auto ogni 1.000 abitanti, rispetto alle 525 della Germania o delle 483 della media europea. Segnali positivi arrivano invece dalle vendite annuali delle biciclette e dal successo del bike sharing e car sharing. In Italia nel 2012 sono state vendute 1.606.000 di bici contro i 3.966.000 della Germania.
Nonostante tutti questi primati vantati dall’Italia per l’efficienza nell’uso dell’energia e delle risorse, siamo un Paese dove i Verdi sono “quasi” scomparsi dalla scena politica in un momento in cui in Europa, invece, le formazioni ecologiste riescono a raggiungere percentuali elettorali a doppia cifra. Qual è la ragione di questo insuccesso tutto nazionale? “Un fenomeno paradossale”, commenta Roberto Della Seta che ha curato proprio la prima parte del rapporto ed è uno dei fondatori del nuovo partito ecologista Green Italia, “vista la storia importante che i Verdi hanno alle spalle”.
In effetti, l’Italia è stata uno dei primi paesi europei con un Verde ministro dell’ambiente (Edo Ronchi nei governi dell’Ulivo dal 1996 al 2000; prima era accaduto solo in Finlandia con Pekka Haavisto della Lega Verde, Ministro dell’Ambiente già dal 1995) e il primo in assoluto con un verde Francesco Rutelli nel 1997 – eletto sindaco della Capitale. La presenza dei Verdi in Parlamento e in diversi governi ha favorito il varo di leggi ambientali importanti come la legge quadro sui parchi del 1991, la legge sulla caccia e la protezione della fauna del 1992, la legge quadro sui rifiuti del 1997. Con le elezioni politiche 2008, è iniziato invece il lento declino che dura tuttora.
Certamente, ammette Della Seta, “sono stati commessi molti errori: negli Anni Novanta, si era creata una fortissima domanda di innovazione a cui loro non sono riusciti a rispondere né a rappresentare”. “C’era una contraddizione che abbiamo provato a raccontare nelle pagine di questo libro: da un lato, a livello mondiale, esisteva un’economia verde sempre più competitiva, dall’altro c’era un’offerta politica – a livello di sistema-Paese – molto più arretrata, del tutto inadeguata a comprendere il tema dello sviluppo orientato in chiave sostenibile“.
Tuttavia, storicamente, ci sono stati casi di politiche pubbliche che hanno saputo interpretare questa contraddizione e registrato successi mai ripetuti: “Mi riferisco al governo Prodi, con gli incentivi alle rinnovabili, gli ecoincentivi alle ristrutturazioni delle case”: “In entrambi i casi”, argomenta Della Seta, “abbiamo ottenuto risultati positivi, ma sempre in modo episodico perché si è trattato di misure che non siamo riusciti a stabilizzare pur trattandosi di uno strumento di politica industriale che avrebbe bisogno di essere incardinato in una strategia complessiva“.
“Il successo di un Paese è anche deciso dalla sua capacità di autorappresentarsi all’esterno: il racconto che l’Italia fa di sé non è quello di un Paese che ha investito le proprie risorse nell’economia verde, la Germania sì”. Eppure, i numeri dicono il contrario: e dicono che oggi, Italia-Germania finisce 4 a 3 come la semifinale dei Mondiali di calcio di Messico 1970.
Ilaria Donatio