Al 18° Cinemambiente vincono le bici. Chiusura con i ghiacci di Luc Jacquet
A CinemAmbiente quest’anno hanno vinto le biciclette. Ed è stata una vittoria su più fronti: sul campo, o meglio, per le strade di Torino, dove le due ruote hanno nettamente schiacciato le automobili nella sfida tra “vip” diabolicamente promossa dal festival; sul piano morale, perché nei giorni dello scandalo Volkswagen, la superiorità ecologica, etica ed economica della bici risalta ancor più dal paragone; e soprattutto in ambito artistico, dove ritmo, originalità, ironia e passione hanno conquistato il primo premio del Concorso Internazionale per Fredrik Getten e il suo Bikes vs Cars.
Premiato per il suo “sguardo originale su un tema noto” e per la capacità di coinvolgere lo spettatore tanto da indurlo “a desiderare di guidare meno ed essere parte del cambiamento”, il regista svedese non ha semplicemente messo insieme dati e testimonianze che dimostrano le virtù della mobilità leggera contro la tirannia delle quattro ruote, ma è andato a cercare i motivi strutturali di tale tirannia, smascherando non solo i poteri economici, ma anche la politica e, più in alto ancora, quella concezione di urbanistica che ha creato l’attuale idea di città e ha dato forma ai luoghi in cui viviamo.
Troppo ricca per un solo premio, la sezione internazionale ha visto quest’anno ben due Menzioni speciali: al duro e poco convenzionale Life According to Ohad dell’israeliano Eri Daniel Elrich, che tratteggia un dramma familiare attorno alle scelte di un giovane attivista del movimento animalista; e al poetico The Messenger di Su Rynard, che fa dei fragili e bellissimi uccelli canori, minacciati da caccia e inquinamento, l’emblema della biodiversità da proteggere, tracciando “una mappa imprescindibile per le generazioni future nella comprensione della Natura”. Ancora tra i documentari internazionali, il Premio del Pubblico offerto da Iren è andato all’epico How to change the world di Jerry Rothwell, che ricostruisce, con interviste e rari filmati d’archivio, la storia e le origini di Greenpeace.
La battagliera protagonista di Mare carbone, che difende la sua terra d’origine – la Calabria – dall’invadenza dell’industria dei combustibili, ha conquistato la giuria del Concorso Documentari Italiani, che ha premiato il regista Gian Luca Rossi “per la vocazione democratica veicolata da un personaggio affascinante capace di mettersi in gioco per ritrovare le proprie radici, costruire il proprio futuro e prendersi cura del proprio spazio”. Una Menzione speciale è andata poi a ‘U Ferru di Marco Leopardi, che si è aggiudicato anche il Premio Ambiente e Società, raccontando la tradizione millenaria della pesca del pesce spada in Sicilia, sullo sfondo di un conflitto generazionale fra padre e figlio.
Per la Sezione One Hour, il primo premio è andato a Saving Mes Aynak dell’americano Brent E. Huffman, che segue la lotta contro il tempo di un archeologo afghano per salvare un sito millenario dalle mire di una società mineraria cinese. Menzione speciale anche a Andrew Nisker per il singolare Dark Side of the Chew, che fa luce su un problema poco considerato ma decisamente rilevante: lo smaltimento di trilioni di chewing gum masticati. Sono stati inoltre assegnati il Premio Speciale “Torino e le Alpi” a Enchikunye/Coming Back Home di Sandro Bozzolo e il premio “Le ghiande di CinemAmbiente” agli scrittori Davide Sapienza e Tiziano Fratus.
Con 20mila presenze in sala e nonostante lo spostamento autunnale, “la diciottesima edizione ha confermato il trend di crescita e di consolidamento di CinemAmbiente nel panorama italiano e internazionale”, ha commentato il direttore Gaetano Capizzi, prima di consegnare il premio “Movies Save the Planet” come riconoscimento alla carriera del regista francese Luc Jacquet, Oscar per La marcia dei pinguini.
Con La Glace et le Ciel, che ha chiuso Cinemambiente 2015 con uno sguardo all’imminente Conferenza sul Clima di Parigi, Luc Jacquet è tornato ancora alle nevi e ai ghiacci che gli hanno dato la fama mondiale, ma questa volta per raccontare un’appassionante epopea scientifica. La vastità abbacinante dell’Antartide, la sua inospitale e dura bellezza sono il campo di battaglia e di passione del grande esploratore e scienziato Claude Lorius, pioniere della paleoclimatologia (la disciplina che ricostruisce l’andamento del clima nelle epoche passate), di cui il regista francese narra la straordinaria avventura scientifica. “La scienza mi ha dato la capacità di vedere il futuro. Ora racconto ciò che ho visto”, dice all’inizio del film la voce narrante di un Lorius oggi ultraottantenne. E accanto a lui, Jacquet ripercorre l’emozione del primo viaggio al Polo Sud a metà degli anni ’50, le condizioni di vita proibitive a oltre 50 gradi sotto zero, le “tane” dei ricercatori che puzzano di calzini bagnati e zuppa riscaldata, la tenacia incrollabile per arrivare fino alla vertigine della scoperta. E poi lo sgomento nell’accorgersi, man mano che progrediva nelle sue scoperte, di quanto l’uomo abbia esercitato la sua influenza sul clima e di come non ci sia luogo sulla Terra, neanche la più remota vetta ghiacciata dell’Antartide, che non soffra della sua invadenza. “Non immaginavo – commenta amaro l’anziano scienziato dei ghiacci alla fine del film – che ogni passo verso la conoscenza mi avrebbe svelato un mondo sempre più devastato dall’azione degli uomini”.
Giorgia Marino