Achim Steiner: “l’attuale modello economico ha fallito”
I tre giorni a cavallo del solstizio d’estate saranno, a prescindere dal clima, caldissimi. Dal 20 al 22 giugno, infatti, si svolgerà a Rio de Janeiro la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile. Un appuntamento su cui sono puntati gli occhi di tutte le associazioni ambientaliste. Forse perché sarà la nostra ultima occasione per cambiare rotta, dopo che le promesse fatte – esattamente venti anni fa – dai capi di stato e di governo, riuniti nello storico vertice del ’92 nella città brasiliana, sono state completamente tradite.
A questo riguardo è intervenuto, venerdì 30 marzo, a Roma, Achim Steiner, Vicesegretario Generale dell’Onu e Direttore Esecutivo dell’Unep (il Programma Ambientale delle Nazioni Unite), che ha tenuto una lectio magistralis (dal titolo “Imparare a vivere su un unico Pianeta”) organizzata dal Wwf e dalla Fondazione Aurelio Peccei, in collaborazione con Unicredit.
Steiner ha messo in fila le questioni che dovranno essere discusse nei tavoli della Conferenza di Rio. A partire da un dato molto semplice: «Investire il 2% del Pil mondiale annuo, in media circa 1.300 miliardi di dollari, fino al 2050 in 10 settori chiave dell’economia globale (energia, acqua, pesca, foreste, riciclaggio dei rifiuti, mobilità, agricoltura) basterebbe per uscire dalla crisi economica e ambientale e avviare la transizione verso un’economia verde». Ormai, infatti, è chiaro che «il paradigma economico del passato ha funzionato bene per molti anni, ma ha fallito. Sotto c’è un modello indifendibile dal punto di vista empirico e scientifico».
Se gli si chiede da dove ripartire, Steiner non ha dubbi: «Bisogna iniziare a trattare la natura come un fattore economico, e non come una cornucopia che non si esaurirà mai. Non si tratta di sminuire il patrimonio ambientale, ma di aggiungere il fattore economico a quello etico nel valutare la natura». Ad esempio «investiamo miliardi in tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2 senza capire che abbiamo i migliori magazzini naturali che possano esistere: le foreste, i suoli, gli oceani». In passato «abbiamo distrutto le foreste perché non si è capito il valore dei servizi ambientali offerti dagli ecosistemi», come quello, appunto, dell’assorbimento di anidride carbonica.
La conferenza di Rio, inoltre, sarà anche l’ultima occasione per rimediare al vuoto di governance mondiale in fatto di ambiente: «Le grandi economie non sono più il fattore determinante. Ci riduciamo ad agire ancora una volta su traiettorie singole, mentre servono azioni congiunte. Bisogna istituire una governance ambientale con strutture autorevoli e forti», è l’appello di Steiner, che sottolinea come «siamo ancora sulla strada sbagliata: la nostra capacità di agire è stata superata dal ritmo del degrado e dell’erosione del Pianeta».
Un messaggio che, negli stessi giorni, hanno lanciato anche i tremila scienziati riuniti a Londra per la conferenza Planet Under Pressure conclusasi il 30 marzo e organizzata da diversi programmi di ricerca sui cambiamenti globali. «Siamo di fronte a una grande accelerazione dell’impatto delle attività umane sui sistemi naturali – è l’allarme che arriva dagli studiosi – e se non agiamo subito si rischia di raggiungere le soglie di non ritorno». Quelle che il Wwf prova a delineare e quantificare in scenari che tutti sperano non si avverino mai: «Se perdiamo questa occasione le conseguenze attuali e future sarebbero drammatiche», con un’accelerazione di una serie di processi già in atto, dalla perdita delle foreste – «ogni anno ne spariscono nel mondo 13 milioni di ettari, una superficie pari a quella della Grecia» – ai declini del suolo «in termini di salute e di produttività», di cui nell’ultimo quarto di secolo ha già risentito «il 24% del territorio globale, a seguito dell’uso non sostenibile». C’è poi l’erosione delle terre causata da «alcune tipologie di agricoltura convenzionale e intensiva», che procede «a ritmi circa 100 volte superiori rispetto a quelli con cui la natura è in grado di ricreare il terreno». Inoltre, in assenza di interventi, «entro il 2030 più del 20% degli habitat terrestri, prendendo in considerazione solo i Paesi in via di Sviluppo, potrebbe essere convertito a terreni agricoli, aggravando così le perdite di vitali servizi ecosistemici e della biodiversità». Per non parlare dei cambiamenti climatici, di cui già adesso si osservano le pesanti conseguenze: «Le emissioni di gas serra continuano a crescere, spingendo il pianeta verso la soglia di un surriscaldamento del pianeta di 2 °C, al di sopra della quale gli scienziati temono che i cambiamenti ambientali potrebbero divenire irreversibili».
Veronica Ulivieri