PLASTiCE: un progetto per la diffusione delle bio-plastiche
Ridurre l’impatto ambientale della plastica attraverso le bio-plastiche, e cioè plastiche facilmente degradabili e perciò “sostenibili”. Un cambiamento radicale che avrà un impatto notevole sui consumi ma, prima ancora, sulla produzione industriale. Una svolta possibile, però, solo attraverso la ricerca industriale e la creazione di nuovi materiali che dovranno essere biodegradabili, appunto, ma anche mantenere le stesse performance delle plastiche tradizionali e, cosa non banale, a costi contenuti. Su queste tre direttrici si gioca il futuro della nuova plastica, la sfida è quella di mettere insieme le esigenze dell’ambiente, quelle dei consumatori finali e quelle dei produttori.
Un problema che ha spinto la Commissione Europea a varare il progetto PLASTiCE (Innovative Value Chain Development for Sustainable Plastics in Central Europe), progetto che punta a promuovere nei Paesi partecipanti l’utilizzo di questi materiali eco-friendly nel settore dell’imballaggio, nel tessile, in agricoltura e in ambito medicale, con l’obiettivo di ampliare al massimo la diffusione di polimeri di origine naturale nell’industria che produce e utilizza plastiche e stimolare lo scambio di esperienze tra ricerca e impresa
13 partner europei, tra cui ASTER, coordinati dall’Istituto Nazionale di Chimica di Lubiana (Slovenia), 4 paesi e un grande gruppo industriale come Novamont che lavorano per diffondere la plastica sostenibile e incentivare le innovazioni del settore anche attraverso la diffusione di buone pratiche come i sacchetti in amido di mais per l’umido che possono essere gettati direttamente insieme al rifiuto organico, con cui l’azienda ha ridisegnato interi settori della raccolta differenziata, e il grande progetto di bioraffineria integrata: ovvero risalire la catena del prodotto fino alla materia prima, sviluppando partnership direttamente con gli agricoltori per l’utilizzo degli scarti delle coltivazioni.
Questi e altri progetti e tutte le novità del settore sono ora sui NIP (National Info Point): sportelli informativi on-line a disposizione delle industrie e dei cittadini per conoscere da vicino i temi di discussione e le best practice ma soprattutto marketplace per stimolare l’interazione tra domanda e offerta per lo sviluppo di filiere innovative e ampliare il dibattito sul tema.
Il settore con il più alto potenziale di impiego dei nuovi materiali è ovviamente quello degli imballaggi (contenitori alimentari, confezioni, reti e schiume), la cui capacità di adottare soluzioni innovative dipende dalle aspettative delle aziende utilizzatrici (settore alimentare, vendita al dettaglio, medicale) e da quelle dei consumatori finali, che devono essere correttamente informati.
Anche a questi ultimi si rivolge il progetto PLASTICE per diffondere una cultura delle plastiche degradabili e il compostaggio di rifiuti alimentari. Ma non solo.
“La plastica gioca un ruolo fondamentale nella nostra vita quotidiana, ma presenta il grande problema di essere un materiale realizzato da fonti non rinnovabili e di non essere biodegradabile”, spiega Andrej Krzan, dell’Istituto nazionale di Chimica di Lubiana e coordinatore di PLASTiCE. “Le bioplastiche offrono ottime soluzioni sul fronte della compatibilità ambientale. Si tratta di prodotti già presenti sul mercato ma su cui si può lavorare ancora molto. Il nostro obiettivo è quello di sostenere l’innovazione e lo sviluppo delle bioplastiche e far conoscere ai soggetti interessati le opportunità esistenti”. L’Europa centrale risulta infatti particolarmente avanzata nel settore della ricerca dei materiali biodegradabili, e può mirare alla leadership mondiale nella produzione e commercializzazione.
Diversi i progetti realizzati in tutta Europa grazie a Plastice. Coinvolgono direttamente un centinaio di enti, imprese e associazioni. Tra questi: studi riguardanti pellicole per il trasporto di prodotti ortofrutticoli con barriere antimicrobi, oppure spaghi biodegradabili per il sostegno dei rampicanti o tubature biodegradabili in materie prime naturali per l’irrigazione. Ma anche ricerche sulla lavorazione di cellulose termoplastiche per la realizzazione di materiali fibrosi e igienici che possono essere utilizzati anche in campo medico.
Molte di queste sviluppato proprio nei laboratori delle Università dell’Emilia-Romagna e della Rete Alta Tecnologia, nei quali, accanto ai nuovi materiali si lavora anche per evitare l’utilizzo di materie prime nobili e per ridurre al minimo gli scarti di lavorazione. Su questo sta lavorando, ad esempio, il gruppo di ricerca Gruppo Polimeri del Dipartimento di Chimica G.Ciamician dell’Università di Bologna, coordinato da Mariastella Scandola.
Il mercato, soprattutto quello automobilistico, ha già sperimentato da diversi anni con successo l’utilizzo di materiali compositi, in cui le plastiche vengono rinforzate non più con fibre di vetro ma con fibre cellulosiche, come la canapa. “La nuova frontiera – prosegue Mariastella Scandola – è tenere le fibre di rinforzo e sostituire il composto plastico con bio-composti”. Il vantaggio sta anche nelle prestazioni: “Le fibre naturali pesano meno, offrendo una marcia in più per tutte le applicazioni che hanno a che fare ciò che si muove, a partire dal settore automobilistico e automotive”.