OGM: l’appello degli ambientalisti in attesa della sentenza sul caso Fidenato
In Italia è allarme OGM, a un anno da Expo 2015, l’appuntamento che farà del nostro Paese la capitale mondiale dell’alimentazione. Consumatori, ricercatori, agricoltori, in rappresentanza di milioni di cittadini si sono mobilitati, nei giorni scorsi, in attesa di una sentenza che può cambiare – oltre al cibo e all’ambiente – anche la nostra economia. Il prossimo 9 aprile, infatti, il TAR del Lazio si pronuncerà sul ricorso presentato da un agricoltore friulano contro il decreto interministeriale che proibisce la semina di mais MON810. Se il ricorso fosse accolto, si rischierebbe di aprire la strada a semine incontrollate di colture geneticamente modificate. Tutto il comparto agricolo ne risulterebbe gravemente compromesso: un colpo durissimo per i nostri prodotti, il “Made in Italy”, le produzioni biologiche, le esportazioni e per la libertà di scelta dei cittadini.
La Task Force “Per un’Italia libera da OGM”, composta da 39 associazioni, lancia dunque un appello al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al governo perché emani, con effetto immediato, un decreto contro le semine OGM e, a partire dal semestre italiano, si impegni in sede europea a elaborare finalmente una chiara iniziativa per impedire coltivazioni geneticamente modificate nel continente, un’area del pianeta preservata finora dalla pressione dei cittadini e dalla mobilitazione delle associazioni agricole, del biologico, ambientaliste e consumeriste.
A indicare come la strada delle coltivazioni transgeniche sia una scelta senza ritorno per l’agricoltura, è proprio la testimonianza che proviene dai Paesi che hanno scelto l’agricoltura OGM. Negli Stati Uniti, dove il 73 per cento dei semi è stato geneticamente modificato per tollerare gli erbicidi, gli agricoltori non riescono ad uscire dal circolo vizioso in cui sono caduti. Chi ha acquistato sementi brevettate deve, per contratto, continuare a farlo per un periodo determinato. Così, negli USA, la Monsanto ha già fatto causa a numerosi agricoltori per violazione contrattuale. Inoltre, il problema non consiste solo nell’impossibilità per gli agricoltori di conservare i semi e riseminarli l’anno successivo, ma anche nei costi sempre crescenti delle sementi OGM e, come già accade in alcune zone, nella mancanza di disponibilità di varietà non modificate.
Per restare al solo costo delle sementi, dal 1975 al 1997 – prima dell’era OGM - per la semina di un campo di soia l’agricoltore investiva nell’acquisto dei semi dal 4 all’8% del reddito lordo derivante dalla coltivazione. Nel 2009 le sementi OGM costavano il 22,5% del reddito ottenuto. Situazione simile per il mais. Nel 2001, il prezzo medio dei semi OGM era di 110 dollari, rispetto agli 85 delle sementi convenzionali. Nel 2012, il prezzo medio delle sementi di mais OGM era salito a 263 dollari per unità, mentre le varietà convenzionali si attestano su una media di 167 dollari. Inoltre, secondo uno studio della Washington State University, è previsto un aumento significativo dei prezzi delle sementi OGM resistenti agli erbicidi rispetto ai semi convenzionali, nel momento in cui tali colture venissero autorizzate nell’Unione Europea.
In Italia – sottolinea la Task Force – “abbiamo ancora la possibilità di scegliere e di fermare l’agricoltura geneticamente modificata ma è necessaria una forte sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni per contrastare l’avanzata di un modello agricolo che potrebbe mettere in serio pericolo uno dei nostri settori più redditizi sia sul mercato interno sia nel panorama delle esportazioni. Le aziende agricole italiane hanno una superficie media di 8 ettari. Con queste superfici un’azienda che si basa su monocoltura di mais impoverisce il suolo, riduce al minimo il lavoro e non riesce comunque a dare reddito all’agricoltore. Un’azienda biologica e diversificata che produce prodotti di qualità e vende a filiera corta fa invece un servizio per il territorio: può dare più lavoro, più ambiente e più reddito agli agricoltori. E lo stesso accade a chi – come buona parte del mondo agricolo nazionale – sceglie di puntare sulla qualità e sulla tipicità”.
A un anno dall’Expo, che trasformerà il nostro Paese nel centro gravitazionale dell’economia dell’agricoltura, del cibo e dell’alimentazione, l’apertura di una fase di incertezza come quella che si determinerebbe con la decisione del TAR del Lazio di annullare il decreto interministeriale che proibisce fino alla fine del 2014 la coltivazione di prodotti geneticamente modificati (in attesa dell’iniziativa europea) sarebbe un segnale devastante, con ripercussioni – dicono i promotori del convegno – che andrebbero ben oltre i confini nazionali. La Regione Friuli ha emanato in questi giorni un regolamento che vieta la semina e la coltivazione di OGM sul suo territorio (paradossalmente, quindi, l’agricoltore che ha fatto ricorso si troverebbe nell’impossibilità di effettuare la semina transgenica, anche nel caso il TAR gli desse ragione). Altre Regioni potrebbero seguirlo in breve tempo, e inoltre – in caso di successo del ricorso – le associazioni della Task Force potrebbero fare ricorso al Consiglio di Stato. Ma si tratta di palliativi: occorre una politica coerente con le vocazioni culturali ed economiche del Paese, di valorizzazione delle nostre qualità, della nostra bellezza e delle nostre capacità.