Obbligazioni verdi e investimenti in rinnovabili in crescita: primi segnali di ripresa
La green economy come volano per la ripresa. Insieme all’abbattimento delle emissioni di carbonio, l’economia verde può infatti assicurare nuovo sviluppo, un miglior benessere, nuova occupazione, tutela del capitale naturale e dei servizi eco-sistemici. Segnali positivi si colgono già a livello globale. Nella finanza, dove tra il 2013 e il 2014 sono stati emessi 42 miliardi di obbligazioni “verdi” e si stima che il mercato dei green bond possa raggiungere i 100 miliardi nel 2015; negli investimenti in rinnovabili che nel 2014 sono aumentati del 16% (310 mld di dollari) rispetto all’anno precedente soprattutto in Cina con un+32% (stabile invece l’Europa con un +1%) e hanno fatto arrivare il numero degli occupati a 6,5 milioni; nell’occupazione dove nella produzione di beni e servizi ambientali, nonostante la crisi, si è registrata in Europa una crescita continua: nel 2003 gli occupati erano poco più di 3 milioni, sono diventati 4,282 milioni nel 2012.
Le tendenze, le risorse, le prospettive, le proposte per lo sviluppo della green economy sono state esaminate in occasione del Meeting di Primavera, l’evento annuale organizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, che quest’anno ha come tema “Il contributo della green economy per la ripresa dell’Italia”.
“La via verso un mondo a bassissime emissioni di gas serra – ha detto Edo Ronchi, presidente della Fondazione- potrà essere tracciata con un nuovo buon accordo internazionale sul clima, ma potrà avere successo solo con lo sviluppo della green economy che è la via maestra per la crescita e l’occupazione sia a livello globale che nazionale. Proprio in Italia è necessario saper avvalersi degli strumenti economici a disposizione, come i fondi europei e prendere la strada di una fiscalità ecologica che sappia orientare il mercato, le produzioni e i consumi verso la green economy”.
I fondi europei per orientare il mercato in direzione green sono consistenti. La politica europea di coesione, la principale politica di investimento della UE, prevede nella programmazione 2014-2020 50 miliardi di euro l’anno e guarda all’avvio e al rafforzamento delle filiere produttive dedicate alla green economy. Consistenti le risorse dei cinque Fondi SIE (fondi strutturali e di investimento) per l’ Italia. Ad esempio, dei Fondi FESR (Fondo europeo sviluppo regionale) e FSE (Fondo Sociale europeo) ci sono 22,2 miliardi per le regioni meno sviluppate (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia), 1,35 miliardi per le regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna) e 7,56 miliardi per le regioni più sviluppate (tutte le altre del centro nord). E gli obiettivi tematici di green economy del FESR (economia a basse emissioni, adattamento climatico e protezione rischi, utilizzo razionale delle risorse, trasporto sostenibile) dispongono di un plafond di risorse pari a 8,6 miliardi, il 41% del totale.
Per disporre di nuove entrate per alimentare gli investimenti green, sono necessarie anche misure di fiscalità ambientale. “Il modo più efficace e immediato di avviare un percorso di riforma della fiscalità in chiave ecologica – osserva Ronchi – è quello di introdurre una carbon tax, in prima istanza, su gasolio e benzina per autotrasporto”. Si tratterebbe di un importo di 20 euro a tonnellata di CO2 che si tradurrebbero in un aumento di soli 3,8 centesimi al litro e darebbe un gettito di 1,6 miliardi. La fiscalità green dovrebbe anche essere estesa e correlata alle emissioni di carbonio indotte dalla produzione di beni e servizi anche importati. “ In questo modo – conclude Ronchi- si potrebbe consentire, con le maggiori entrate , di compensare una consistente riduzione del cuneo fiscale a favore di lavoro e imprese e disporre di entrate aggiuntive, formate anche solo da una quota minoritaria delle nuove entrate, per alimentare investimenti green in ricerca e eco-innovazione”. Proprio i paesi leader in eco-innovazione come Svezia, Finlandia, Danimarca, Regno Unito, e Germania dispongono, infatti, di un PIL pro capite più alto e di una disoccupazione più bassa della media UE.