Il declino degli Appennini al centro dello studio inedito di ISPRA e Slow Food
Qualche dato aiuta a chiarirsi le idee: nel corso degli ultimi quarant’anni, la popolazione dei comuni montani degli Appennini è diminuita dell’8%, aumentando la forbice con il resto d’Italia dove, invece, la popolazione è cresciuta del 10% nello stesso periodo. Nonostante ciò, il consumo di suolo, che in Italia è passato dal 2,7% nel 1960 al 7,0% nel 2014 (dati Ispra), ha coinvolto non solo le periferie delle aree metropolitane ma anche buona parte della dorsale appenninica, dove il cemento ha raggiunto le aree di fondovalle a discapito di terreni agricoli e pascoli e la percentuale complessiva di suolo ormai perso è quadruplicata in poco più di 50 anni, arrivando a sfiorare il 2% del territorio. «Ma per chi abbiamo costruito?» si interroga retoricamente Munafò.
Come fare allora? Il futuro degli Appennini deve passare dall’agricoltura perché lo sviluppo delle zone montane è consentito, a tutti i livelli, dallo sviluppo o dal mantenimento del settore primario. Se l’agricoltura funziona, il settore secondario si attiverà, determinando bisogni per il terziario. In questo modo si mantiene l’identità e si sviluppa cultura. Una strada possibile è l’alleanza tra operatori, costruire una rete tra le aziende e i poli sociali. Queste sono alcune delle proposte emerse dai lavori delle quattro commissioni, Agricoltura, Ambiente e Paesaggio, Turismo Sostenibile e Infrastrutture, Ricerca e innovazione e Reti sociali, culturali e relazioni territoriali. Tre giorni di lavori, coordinati dalla vice presidente di Slow Food Italia Sonia Chellini, che hanno visto impegnati oltre 150 agricoltori, allevatori, artigiani e rappresentanti di enti e consorzi per valutare lo stato attuale degli Appennini e i nuovi strumenti per una rinascita sociale, culturale ed economica della dorsale italica.
Un esempio concreto è proprio Castel del Giudice, evidenziato dal presidente della Regione Molise, Paolo Di Laura Frattura, ricordando il lavoro fatto dall’amministrazione locale, guidata dal sindaco Lino Gentile: «Quest’occasione ci aiuta a trasformare la difficoltà e la marginalità della montagna in un’opportunità, soprattutto per la nostra Regione. Ben volentieri accoglieremo i suggerimenti delle commissioni che, del resto, rispecchiano in buona parte quanto già fatto proprio qui a Castel del Giudice, esempio virtuoso in cui grazie alla sinergia tra il pubblico e privato, siamo riusciti a valorizzare territorio, cultura e identità».
«Utilizzeremo la nostra rete e i nostri strumenti per intervenire sui modelli di produzione e distribuzione del cibo, favorendo meccanismi che possano sostenere l’agricoltura montana», ha concluso Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia. «Agevoleremo percorsi di sostegno e promozione per i produttori delle aree appenniniche come abbiamo fatto per i Presìdi Slow Food, un sistema che ha aiutato e potenziato tantissime produzioni a rischio di estinzione in Italia e nel mondo. Ci impegneremo a moltiplicare le attività di Slow Food nelle aree appenniniche e far passare il messaggio che queste non sono aree svantaggiate, ma danneggiate da politiche miopi, nonostante abbiano tutte le potenzialità per garantire un alto livello di benessere. E noi di Slow Food non vogliamo solo fare ma anche far fare, spingere le istituzioni affinché mettano in campo misure che realmente creino benessere, occupazione e vantaggi agli eroi che vivono la montagna. Un esempio potrebbe essere l’indicazione dell’origine per i prodotti di montagna da indicare nelle etichette: il consumatore ha tutto il diritto di conoscere da dove proviene il cibo che sceglie e il produttore il diritto di differenziarsi e di evidenziare il valore aggiunto del suo prodotto. Infine, la ricerca deve partire dalle esigenze di chi vive questi territori e non da chi sa quali interessi».