Gruppo Sanpellegrino pubblica il primo report sul “valore condiviso”
Il Gruppo Sanpellegrino, leader italiano del settore beverage e acque minerali, con 1.500 dipendenti e 900 milioni di euro di fatturato, ha realizzato, per la prima volta, un Report sulla “creazione di valore condiviso”, per raccogliere e diffondere i dati relativi alle azioni di CSR (corporate social responsibility) avviate negli ultimi anni.
Dal quadro tracciato emergono, sul front e ambientale, numeri significativi per quanto riguarda la tutela del territorio e la condivisione con le comunità locali. Il valore ridistribuito dal Gruppo alla pubblica amministrazione italiana (per “concessioni minerarie” e altri oneri) è infatti cresciuto, nell’ultimo anno, del 42%, a 47 milioni di euro. 300.000 euro sono stati invece investiti in “tutela della risorsa idrica e programmi ambientali locali”, mentre 758.000 euro in “progetti integrati per lo sviluppo economico e la valorizzazione del territorio”.
Una ricerca commissionata a EMG conferma, del resto, che secondo gli italiani la principale sfida per le aziende del settore beverage è proprio la “protezione del territorio e dell’acqua”, tanto più in periodi di siccità come quello attuale, in cui l’attenzione dell’opinione pubblica sulle risorse idriche e la loro tutela dall’inquinamento o dall’eccessivo sfruttamento è massima.
Il Gruppo Sanpellegrino ha voluto declinare l’attenzione alla sostenibilità ambientale, a livello locale, secondo due direttrici: la riduzione progressiva dell’impatto ambientale degli stabilimenti produttivi e la protezione delle fonti e del territorio. A partire dal principio fondamentale dell’”impatto zero” sulla disponibilità locale di acqua.
Per quanto riguarda la “protezione delle fonti”, è bene ricordare che la legge italiana prevede una tutela non solo della “zona di captazione”, ma anche delle cosiddette “zone di protezione” e “zone di rispetto”, dove sono vietate attività come l’edilizia residenziale (con i relativi scarichi e opere di urbanizzazione), l’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi o concimi chimici, la gestione di rifiuti ecc. Le “acque minerali naturali” si distinguono infatti dalle “acque potabili” per la purezza originaria e il tenore in minerali, oligoelementi e altri costituenti, che vanno tenuti al riparo dal rischio di inquinamento. Per questo la legge prevede l’imbottigliamento alla fonte, che “sigilla” tutte le proprietà con cui l’acqua sgorga.
Ma Sanpellegrino ha l’ambizione di andare ben oltre il mero rispetto della normativa. Nel caso della tenuta in cui nasce Acqua Panna (già riserva di caccia della Famiglia dei Medici nel 1564), ad esempio, l’agricoltura praticata è unicamente quella biologica, controllata e certificata. Ed è stata istituita un’area faunistico venatoria per l’incremento della fauna selvatica. Al marchio Levissima è invece riconducibile la salvaguardia dei ghiacciai, con un progetto di ricerca scientifica avviato nel 2007 – insieme all’Università degli Studi di Milano e alle istituzioni della Valtellina – per contrastare la dispersione di acqua causata dalla fusione glaciale. Il glacialismo, infatti, è ormai considerato l’indicatore più affidabile delle trasformazioni climatiche in atto. I siti di studio, il Ghiacciaio Dosdé Orientale e il Ghiacciaio Dei Forni, sono stati attrezzati con strumenti di rilevazione e i dati raccolti, le immagini satellitari e le foto aeree vengono poi analizzate in laboratorio, dai ricercatori coinvolti nel progetto.
L’altro fondamentale tassello della strategia di sviluppo sostenibile del Gruppo Sanpellegrino riguarda la riduzione dell’impatto ambientale dei siti produttivi. Dal 2011 tutti gli stabilimenti utilizzano il 100% di energia elettrica acquistata da fonti rinnovabili certificata RECS e l’obiettivo zero rifiuti in discarica è già stato raggiunto. I prossimi passi saranno relativi alla logistica e al packaging. Già nel 2016 il 33% dell’acqua trasportata ha viaggiato su treno, mentre l’alleanza con l’azienda biotecnologica californiana Origin Materials ha portato a sviluppare una bottiglia di plastica PET con il 30% di materiale da biomassa vegetale (cartone usato e segatura), e l’obiettivo è di arrivare al 95% nel 2022.