Giornata della biodiversità: sei le specie estinte di recente in Italia
La gru non c’è più. In Italia perlomeno. Nella Lista rossa dei vertebrati italiani, curata dall’IUCN, è tra le sei specie estinte in tempi recenti, insieme alla quaglia tridattila, il gobbo rugginoso, il rinolofo di Blasius, lo storione e lo storione ladano.
Che importanza può mai avere? Parecchia. Perché la perdita di diversità è la minaccia ambientale più grave a livello mondiale. E’ causa dell’insicurezza alimentare ed energetica, dell’aumento della vulnerabilità ai disastri naturali come inondazioni o tempeste tropicali, della diminuzione del livello della salute all’interno della società, della riduzione della disponibilità e della qualità delle risorse idriche e dell’impoverimento delle tradizioni culturali. Ognuna delle 1.900.000 specie viventi catalogate dagli scienziati svolge un ruolo specifico nell’ecosistema in cui vive e la scomparsa anche di una sola specie può portare ad alterazioni irreversibili.
In occasione della Giornata mondiale della biodiversità, Legambiente fa il punto sullo stato di salute delle specie viventi, sui fattori di perdita di biodiversità e sui percorsi di tutela avviati e da mettere in atto per contrastare il declino accelerato di creature ed ecosistemi. La biodiversità è il “capitale naturale” del pianeta, ci offre beni e servizi di vitale importanza come il cibo, la stoccaggio della Co2, la regolazione delle acque, la fornitura di materie prime. E’ una componente fondamentale del nostro sviluppo sostenibile, e distruggendola si altera la capacità degli ecosistemi sani di fornire i loro beni e servizi. Con un risvolto non indifferente anche sotto il profilo economico.
Secondo l’OCSE, i danni per la perdita della biodiversità da qui al 2050 sono stimabili in una cifra che oscilla tra i 2 e i 5 trilioni di dollari all’anno, somma superiore alla ricchezza prodotta dalla stragrande maggioranza della nazioni della terra. Le previsioni dell’UE (riferite anch’esse al periodo 2000-2050) parlano, invece, di una perdita annuale di servizi ecosistemici di circa 50 miliardi di euro soltanto all’interno degli ecosistemi terrestri.
Sulle 63.000 specie valutate nell’ultima Lista Rossa dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature), 19.817 sono considerate minacciate. Tra queste, il 41% degli anfibi, il 33% delle barriere coralline, il 25% dei mammiferi, il 13% degli uccelli e il 30% di conifere. In Europa, secondo la Red List Europea pubblicata nel 2013, la quota più elevata di specie minacciate si trova nell’area del Mediterraneo: è considerato a rischio il 21% delle 2.032 specie valutate in Spagna, il 15% delle 1.215 specie che si trovano in Portogallo e il 14% delle 1.684 specie presenti in Grecia.
L’Italia detiene il primato della biodiversità europea, con oltre 67.000 specie di piante e animali (circa il 43% di quelle presenti in Europa), ma anche da noi le popolazioni di vertebrati sono in declino (soprattutto in ambiente marino). Delle 672 specie di vertebrati valutate (576 terrestri e 96 marine) nella Lista rossa dei vertebrati italiani, pubblicata nel 2013 dal Comitato Italiano dell’IUCN su iniziativa del ministero dell’Ambiente e Federparchi, oltre alle 6 che risultano estinte ultimamente, tra cui la Gru cenerina che in Italia non nidifica più, 161 sono gravemente minacciate di estinzione (28%). Tra queste, lo squalo volpe, l’anguilla, la trota mediterranea, il grifone, l’aquila di Bonelli e l’orso bruno. Le specie in pericolo sono in totale 49 tra cui il delfino comune, il capodoglio, la tartaruga Caretta caretta e la gallina prataiola.
“La ricchezza del nostro patrimonio ambientale – spiega Rossella Muroni, direttrice generale di Legambiente – va considerata come una risorsa per proporre modelli di sviluppo nel segno della green economy. La biodiversità può e deve essere una leva su cui puntare per rilanciare l’economia del Paese”.
Le principali minacce sono la perdita degli habitat (che riguarda circa il 20% delle specie) e l’inquinamento (15% circa). Per le specie marine, invece, la causa di mortalità più rilevante è la cattura nelle reti utilizzate per pescare altre specie di interesse commerciale. Anche la biodiversità vegetale è fortemente minacciata a causa di un’urbanizzazione selvaggia e spesso abusiva, dello sviluppo di infrastrutture, dell’allevamento intensivo e delle attività antropiche.Particolarmente preoccupante è lo stato dei mari, soffocati dalla crescente pressione dei trasporti, della pesca, dell’inquinamento, dei cambiamenti climatici e dalla pressione antropica. Tanto che in un rapporto pubblicato lo scorso febbraio, la European Environment Agency lancia un chiaro messaggio: “Il modo attuale in cui usiamo il mare rischia di degradare irreversibilmente molti di questi ecosistemi”. Come la comparsa di zone morte prive di ossigeno nel Baltico e nel Mar Nero causate dalla progressiva eutrofizzazione o la distruzione dei fondali nel Mare del Nord legata alla pesca a strascico.