A Slow Fish il nuovo report del WWF sull’industria ittica: “scegliamo la biodiversità nel piatto”
I prodotti ittici costituiscono la
fonte di proteine per 3 miliardi di persone e il
reddito di 800 milioni di persone si fonda sulla pesca e sull’industria ittica. Nel 2014 nei paesi europei sono stati spesi 34,57 miliardi per acquistare prodotti ittici. In totale nei paesi europei si consumano 7,5 milioni di tonnellate di pesce all’anno (33,4 chili pro capite contro i 19,2 chili consumati in media a livello globale). Di questi,
2,75 milioni di tonnellate sono pescati localmente, i restanti 5 milioni sono prodotti di importazione.
Queste cifre introducono al nuovo report di
WWF,
Gusti locali, mercati globali – Le risorse ittiche e il Mediterraneo, presentato a
Slow Fish nella conferenza “
Da dove viene il pesce che metti in tavola?” A guidare il pubblico, attraverso i risultati dello studio,
Giulia Prato, responsabile mare di WWF Italia
, Simone Niedermüller, coordinatrice degli studi Fish Forward sempre per WWF e
Cinzia Scaffidi, vicepresidente di Slow Food Italia.
Il report fa il punto sui consumi europei e ha l’obiettivo di indicare come sia possibile migliorare una situazione che, per molti aspetti, non è certamente rosea. Un tempo «
il Mediterraneo possedeva una quantità di stock ittici superiore alle necessità, che supportava intere comunità e forniva un elemento chiave della famosa dieta salutare mediterranea. Dal polpo al tonno rosso, dai gamberi di acque profonde al pesce spada, tutto il pescato proveniva dal mare antistante».
Oggi, invece, il pescato che finisce sulle tavole europee è importato, e per la maggior parte proviene dai paesi in via di sviluppo. Ovviamente la situazione varia da specie a specie e se per le sardine e le acciughe ci affidiamo a pesce interamente pescato localmente, nel caso di tonni e pesci spada il pescato locale costituisce appena il 25% e in quello dei cefalopodi i prodotti di importazione costituiscono addirittura l’82%.
Inoltre, nel Mediterraneo il 93% degli stock ittici sono minacciati dalla pesca eccessiva, il che significa che «se le attuali pratiche di pesca non verranno modificate, le popolazioni ittiche non riusciranno a riprendersi e collasseranno». L’analisi del report, però, non si focalizza solo sui numeri, ma anche sul potere dei consumatori che, attraverso le loro scelte, possono contribuire a invertire la rotta. Il problema è complesso, ma le azioni da intraprendere sono tutte relativamente semplici.
La base di tutto è la consapevolezza: informarsi sull’origine del pesce che si acquista; privilegiare il pescato locale; qualora si acquistino dei prodotti industriali affidarsi a quelli provvisti di certificazione; rispettare le taglie minime; scegliere animali a ciclo vitale breve e, ovviamente, alzare il livello di biodiversità dei nostri piatti. “Non è difficile ed è anche piacevole”, fanno notare gli organizzatori di Slow Fish.