La grande gara delle certificazioni ambientali
Europa versus Usa. O, se preferite, effetto virtuoso della competizione verde. Una salutare competizione favorita dalle politiche energetiche destinate a far decollare la green revolution.
E così Anche l’America sbarca in Italia per conquistare il settore delle certificazioni improntate a un’edilizia sostenibile. La concorrenza nel settore si allarga dunque ad un nuovo importante protagonista e amplia il già ricco panorama delle certificazioni, di varia applipcazione, disponibili a livello europeo (CasaClima, Emas, Ecolabel, FSC, ISO14001, per citare le più importanti).
Dopo la “prima” di Trento tocca ora a Milano ospitare la presentazione dell’americana LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). L’appuntamento è per il prossimo 11 giugno presso l’Auditorium di Assolombarda di via Pantano. Atteso un Parterre de Roi e la prevista partecipazione del Console Generale degli Stati Uniti a Milano Carol Z.Perez.
Leed è un sistema di certificazione indipendente (promosso dal Green Building Council Italia) i cui parametri stabiliscono precisi criteri di progettazione e realizzazione di edifici salubri, energeticamente efficienti e a impatto ambientale contenuto. Il sistema di certificazione Leed è esteso a diverse aree della sostenibilità per il settore edilizio: dall’efficienza energetica a quella idrica, dalla riduzione di emissioni di CO2 alla sensibilità per l’impatto ambientale dei singoli edifici e del loro insieme. Nell’ambito di un più ampio e organico processo virtuoso che ha l’obiettivo di separare lo sviluppo dall’uso delle risorse, per de-carbonizzare la nostra economia, l’edilizia sostenibile potrà e dovrà quindi fornire un importante contributo agli obiettivi “verdi” dell’Unione Europea.
Un piano di sviluppo rispettoso dell’ambiente che, per avere successo, prevede investimenti in R&S pari al 3% del PIL. Secondo i calcoli di Bruxelles la trasformazione energetica dell’economia continentale comporterebbe risparmi da importazioni petrolifere e di gas da qui al 2020 per circa 60 miliardi di euro.
La sola realizzazione dell’obiettivo UE del 20% di fonti rinnovabili potrebbe creare 600.000 posti di lavoro all’interno dell’Unione, che salirebbero a più di 1 milione se si aggiungesse l’obiettivo del 20% per quanto riguarda l’efficienza energetica.
Tutti buoni motivi per spingere Bruxelles a stimolare il necessario apporto del settore privato, anche nei progetti di innovazione per l’efficienza energetica. Tanto più significativo quando venga misurato con l’indicatore economico dell’intensità energetica, che rappresenta il rapporto fra consumi di energia e il valore aggiunto. Meglio ancora: essa esprime la quantità di energia finale consumata per la produzione di un’unità di prodotto. La sua tendenza alla diminuzione manifesta dunque l’efficienza ambientale di un’economia o di un settore produttivo in quanto capaci di scorporare la crescita dal consumo di risorse.
L’aumento dell’efficienza energetica e la conseguente riduzione dell’intensità sono intimamente legate agli alti prezzi dell’energia. Di fatto, tra il 1990 e il 2006, a livello mondiale l’intensità è calata a tal punto da consentire risparmi per 4,4 miliardi di euro. Conseguenze di un processo virtuoso reso possibile nonostante le inefficienze della Cina, maglia nera nel rispetto di decenti parametri ambientali.
Se Pechino piange Washington però sorride: dal 1973, infatti, negli Stati Uniti l’intensità energetica è scesa ogni anno del 2,1% contro un modesto 0,4% registrato nel periodo precedente la prima crisi petrolifera. Risultato: un risparmio dei consumi che si aggira intorno al 70%. E secondo i calcoli dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), entro il 2030 due terzi delle possibili riduzioni di Co2 sarebbero attuabili grazie all’aumento dell’efficienza energetica.
Insomma, il tema è sentito e il settore immobiliare rappresenta uno dei campi di applicazione indubbiamente più complessi ma necessari, considerato che i consumi di energia nell’edilizia rappresentano oggi circa il 40% della relativa domanda europea.
E non vi è dubbio che in Italia l’edilizia avrebbe bisogno di un vero e proprio restyling energetico. A cominciare dalla climatizzazione estiva e invernale delle abitazioni e degli uffici. Il punto è che il patrimonio immobiliare nazionale si presta ad una delle contraddizioni tipiche nel nostro Paese. Perché, mentre il Protocollo di Kyoto impone a costruzioni e ristrutturazioni edilizie l’adozione di standard rigorosi nel rispetto dell’ambiente, dall’altro lato , l’80% dei fabbricati italiani, essendo stati costruiti prima dell’applicazione della Legge 10/91 (dati Istat 2001), è fermo ad una scarsissima attenzione all’efficienza, al risparmio energetico e alla sostenibilità.
Eppure, se anche cresce la sensibilità dei consumatori, sempre più improntati ad acquistare prodotti di aziende con una forte reputazione verde (almeno il 53% a livello globale in base ai dati di una ricerca Tandberg dello scorso anno) in Italia manca ancora una vera e propria opera di comunicazione capillare che responsabilizzi e guidi gli acquirenti finali interessati al settore immobiliare.
Una mancanza cui la certificazione energetica degli edifici intende sopperire attraverso informazioni trasparenti sulle caratteristiche, sui costi e sui consumi energetici degli immobili, nell’ottica di una nuova cultura attenta all’efficienza già a livello progettuale.
Bruno Pampaloni