L’intervento del Sottosegretario Saglia al Festival dell’Energia
Su gentile segnalazione dell’ufficio stampa del Festival dell’Energia di Lecce, pubblichiamo il testo integrale dell’intervento che il Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico, On. Stefano Saglia avrebbe dovuto tenere ieri pomeriggio al convegno “Anno 2020, come raggiungere gli obiettivi europei“, previsto all’interno del programma del Festival.
Le fonti energetiche rinnovabili sono la grande sfida del futuro. Alle possibilità di un loro utilizzo, economicamente competitivo, sono affidate le speranze di uno sviluppo sostenibile del sud del mondo e di una riconversione ambientale dei paesi avanzati.
Il 23 gennaio 2008 la Commissione ha proposto il pacchetto per l’energia e i cambiamenti climatici. Le proposte approvate nel dicembre 2008 dal Consiglio e dall’Europarlamento, confermano il target 20-20-20 che prevede il raggiungimento entro il 2020 di una riduzione del 20% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990, un aumento del 20% della quota di energia prodotta dalle fonti rinnovabili ed un miglioramento del 20% dell’efficienza energetica. Per le fonti rinnovabili gli Stati membri dovranno inviare a Bruxelles, entro e non oltre il 31 marzo 2010, un piano di azioni per le rinnovabili con gli obiettivi al 2020 per ogni singola fonte nei settori trasporti, elettricità e riscaldamento.
Il nostro Paese dovrà, entro il 2020, soddisfare il 17% dei propri consumi finali di energia ricorrendo alle fonti rinnovabili. Per la CO2, lo sforzo richiesto al nostro Paese prevede un taglio del 14% delle emissioni di anidride carbonica al di sotto dei valori del 2005 nei settori non inclusi nel sistema europeo di scambio delle quote di emissione (cosiddetto ETS). E’ un impegno superiore a quello medio europeo, pari al 10%, ma crediamo di poterlo raggiungere anche grazie alle linee di politica energetica che stiamo impostando. Le scelte che il nostro Paese è chiamato a effettuare in materia di energia vanno viste in un contesto di complementarietà e sussidiarietà, con l’Unione Europea, ma anche con le regioni e gli enti locali.
Se, da un lato, apprezziamo il ruolo propulsivo dell’Europa per la liberalizzazione dei mercati dell’energia, dall’altro riteniamo che molto ancora si possa fare per valorizzare il peso di un mercato costituito da 480 milioni di consumatori, in modo da esercitare una più efficace azione sui Paesi produttori. Intendiamo dunque impegnarci affinché l’Unione europea si doti di una politica energetica integrata e coesa, che consenta agli Stati membri di far fronte in modo efficace alle nuove sfide energetiche. Ma, come sapete, la scelta del mix energetico è una competenza degli Stati membri. Allora salta immediatamente agli occhi una prima anomalia: l’Italia è l’unico tra i grandi Paesi dell’Unione a non essere dotato di centrali nucleari. Di anomalie, in verità, ce ne è un’altra: mentre gli altri grandi Paesi dell’Unione coprono circa i 2/3 del proprio fabbisogno con un mix di carbone e nucleare, nel nostro Paese solo il 17% della produzione elettrica proviene attualmente da carbone e, naturalmente, nulla dal nucleare.
D’altra parte, non possiamo rimanere inerti davanti alla crescita della domanda mondiale di energia, che è certamente alla base, insieme a manovre speculative dei mercati finanziari, delle oscillazioni dei prezzi, comunque intorno a valori notevolmente elevati. Si consideri poi che, a prescindere dalle oscillazioni di cui si diceva, i prezzi dell’energia sono, in Italia, mediamente del 30% più alti della media europea, con serie conseguenze sulla competitività di interi settori industriali e impatto sul potere di acquisto delle famiglie. Questi dati hanno probabilmente favorito un mutamento di clima dell’opinione pubblica: un radicale riorientamento della politica energetica viene chiesto ormai non solo dal sistema produttivo, ma in generale dalla pubblica opinione: di questo mutamento il Governo si è fatto interprete.
Il rilancio del nucleare al quale stiamo lavorando suscita un ampio dibattito. Una discussione pragmatica su un tema del genere non può che essere accolta con favore. Ritengo invece inutile e dannosa una contrapposizione ideologica tra coloro che sostengono la scelta del ritorno al nucleare come soluzione unica del problema energetico, e chi invece ritiene che questa soluzione unica debba essere data dalle fonti rinnovabili. E’ ora di uscire da questa contrapposizione, poiché, a mio parere, non esiste la soluzione unica. Un Paese povero di materie prime energetiche come l’Italia, dipendente dalle importazioni per circa l’85% del proprio fabbisogno, non può permettersi di rinunciare a nulla. Ma questa stessa ragione è alla base dell’intendimento, anche questo reiteratamente manifestato, di diversificare le aree geografiche di approvvigionamento e le fonti di energia, sviluppare l’efficienza energetica, le fonti rinnovabili e il carbone pulito e, insieme, costruire nuove infrastrutture energetiche, realizzando nuovi rigassificatori, sistemi di stoccaggio per il gas naturale e reti di trasporto e interconnessione con altri Paesi.
Una strategia a tutto tondo che, nel settore elettrico, mira ad affrontare l’anomalia italiana che vede un mix di produzione tutto sbilanciato verso il gas: fermo restando l’impegno per l’efficienza energetica, pensiamo che un mix equilibrato debba includere un 25% di nucleare e un 25% di fonti rinnovabili, con la copertura del restante 50% affidato agli idrocarburi. Come sapete, il Parlamento è già intervenuto sull’argomento, delegando il Governo a definire una Strategia energetica nazionale in cui dovranno trovare adeguato spazio il nucleare, ovviamente, ma anche efficienza energetica e rinnovabili. In questo ambito, sarà svolta una apposita Conferenza perché, come dicevo, un confronto franco e costruttivo è benvenuto. La decisione sul nucleare è comunque assunta, e dunque il Governo intende usare uno dei disegni di legge attualmente in preparazione per completare il quadro delle regole e degli strumenti necessari per ripartire.
Vengo dunque alle rinnovabili: negli ultimi anni la potenza installata è costantemente cresciuta, giungendo, a fine 2006, a oltre 21.000 MW. Ciononostante, la produzione energetica è rimasta grosso modo costante, oscillando intorno ai 50 TWh. Conseguentemente, il rapporto tra produzione da fonti rinnovabili e produzione totale è mediamente calato, assestandosi a circa il 16-17%. Questa situazione è dovuta al fatto che i pur cospicui incrementi di produzione forniti dalle nuove fonti rinnovabili (eolico, solare e biomasse) e dalla geotermia a mala pena compensano la contrazione dell’apporto della fonte idrica, causata da una serie di fattori che, in ultima analisi, riducono la disponibilità di acqua per scopi idroelettrici. E’ allora evidente che allorché questo Governo asserisce di voler ottenere dalle rinnovabili un contributo del 25% esplicitamente manifesta l’intendimento di rafforzare l’impegno in questo settore. Impegno che tocca innanzitutto un aspetto che, sono certo, è molto sentito dagli operatori e dai cittadini: mi riferisco al problema della semplificazione delle procedure, in particolare connesse all’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti.
Abbiamo già cominciato: il Governo ha approvato un decreto legislativo sui servizi energetici che prevede la possibilità di installare previa semplice comunicazione al Comune singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro, nonché impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi. E’ solo un inizio: a breve contiamo di definire, in accordo con gli altri Ministeri e le regioni, le linee guida per lo svolgimento del procedimento unico di autorizzazione degli impianti, previste dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e mai emanate.
E qui riprendo quanto dicevo in apertura riguardo alla necessità di un approccio al problema energetico in cui i diversi attori – in particolare Unione Europea, Stato, regioni ed enti locali – operino in un’ottica di complementarietà e sussidiarietà. Troppo spesso in Italia le minoranze prevalgono sulla maggioranza, troppo spesso la sindrome “Non nel mio giardino” blocca opere grandi e piccole: rigassificatori e centrali termoelettriche, ma anche impianti eolici e a biomasse e, temo a breve, anche quelli solari, che ora tanto consenso sembrano riscuotere. Forse sorprenderà, ma l’Agenzia internazionale per l’energia ha lanciato un appello ai governi, ma in particolare a quello italiano, per contrastare la sindrome “Non nel mio giardino” con lo scopo di recuperare il tempo perduto nella realizzazione di infrastrutture energetiche.E’ necessario affrontare con decisione questo problema promuovendo il dialogo con il territorio, premiando con incentivi e iniziative di sviluppo le popolazioni interessate ai nuovi insediamenti, offrendo opportunità di sviluppo e di occupazione. Ma le politiche a sostegno delle fonti rinnovabili non possono essere disgiunte da quelle per l’efficienza energetica: ha poco senso sostenere economicamente la produzione di energia da fonti rinnovabili se questa stessa energia non viene usato in modo efficiente. D’altra parte, tutte le sedi internazionali raccomandano l’efficienza energetica come uno degli strumenti fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza energetica e di contrasto al cambiamento climatico.
L’Italia ha già fortemente sviluppato tale settore, pur partendo da una situazione nazionale caratterizzata da una alta efficienza energetica e da una bassa intensità energetica, intesa come rapporto tra domanda di energia e prodotto interno lordo. Le misure di sostegno all’efficienza energetica, adottate o in fase di ulteriore sviluppo, riguardano la promozione della cogenerazione ad alto rendimento, la riqualificazione energetica degli edifici, la definizione di elevati standard prestazionali nella costruzione di nuovi edifici, il sostegno all’efficienza energetica nelle piccole e medie imprese, una più marcata consapevolezza dell’esigenza di usare bene l’energia. Si tratta di misure che, a mio parere, vanno ordinate e inquadrate in un piano straordinario che abbia un orizzonte temporale di una decina di anni: in questo senso il Governo ha iniziato a lavorare.
In sintesi: contiamo di rendere più efficiente, e quindi più economico, il processo di realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili, più efficiente l’uso dell’energia, più densa di opportunità di sviluppo occupazionale le politiche del settore. Si tratta di passaggi necessari per assicurare che queste fonti, già bisognevoli di incentivi, non siano gravate da extra costi che, in ultima analisi, si scaricano sui consumatori. Intendiamo infatti perseguire l’obiettivo del 25% da rinnovabili, cui ho fatto cenno, in modo efficace ed efficiente. Sotto questo aspetto, il sistema di incentivazione introdotto dal precedente Governo, ma ancora non compiuto per carenze dei provvedimenti di attuazione, si presta ad alcune considerazioni preliminari.
Gli incentivi sono di certo tra i più generosi d’Europa per ogni tipologia di impianto. Tale aspetto, se da un lato dovrebbe accelerare lo sviluppo del settore, dall’altro introduce costi sempre maggiori per il sistema elettrico e per i consumatori elettrici, la cui sostenibilità andrà valutata anche alla luce della forte crescita del prezzo del greggio. Peraltro, alcune forme di incentivazione, in particolare alle biomasse filiera corta, sono di dubbia compatibilità con le regole UE e del WTO sul commercio internazionale.
Credo che le considerazioni che mi accingo a fare sugli obiettivi europei 20-20-20 non possano essere tacciate di preclusione alcuna verso la coraggiosa politica che l’Europa si sta dando in materia di clima ed energia. Come sapete, e come dicevo all’inizio, il pacchetto europeo 3×20 prevede che al 2020 le emissioni di gas serra siano ridotte del 20% rispetto al 1990, i consumi energetici siano ridotti del 20% e le fonti rinnovabili coprano il 20% dell’intero fabbisogno energetico (non solo elettrico, dunque) dell’Unione. Mentre l’obiettivo sulla riduzione dei consumi energetici è uguale per tutti, su fonti rinnovabili e gas serra si procederebbe a una ripartizione tra gli Stati membri: il nostro Paese sarebbe quindi chiamato a ridurre le emissioni di gas serra di alcuni settori (quelli non interessati dal sistema europeo di scambio delle quote di emissione, il cosiddetto ETS, o “Emission Trading”) del 14%, a contribuire ovviamente alla riduzione delle emissioni di gas serra nei settori interessati dal meccanismo Emission trading e infine a coprire con le rinnovabili il 17% del proprio fabbisogno: quest’ultima percentuale comporterebbe, per quanto riguarda il settore elettrico, la necessità di una frazione di produzione da rinnovabili probabilmente superiore al 30%.
Ritengo che un approccio concreto alla lotta contro i cambiamenti climatici richieda certamente uno sforzo – equo e realistico – degli Stati membri, ma anche che a questo sforzo si accompagni un adeguato coinvolgimento dei Paesi non UE, dato che in uno scenario tendenziale il mondo continuerà a dipendere prevalentemente dai combustibili fossili e le emissioni cresceranno, al 2050, a 58 miliardi di tonnellate, delle quali 22 da Paesi industrializzati, 4 da Paesi in transizione, 32 da Paesi in via di sviluppo, che quadruplicherebbero le loro emissioni, poiché è prevedibile che questi Paesi antepongano le esigenze di sviluppo economico a quelle di tuteladel clima.
Penso quindi che l’Europa debba certo impegnarsi per ridurre le proprie emissioni, ma anche farsi promotrice di un progetto per sostenere la diffusione delle nuove tecnologie energetiche anche nei Paesi emergenti come grandi consumatori di energia, come Cina e India, oltre che in altri Paesi in via di sviluppo. Un siffatto approccio, peraltro, è quello che meglio si presta per assicurare che il sistema produttivo europeo possa ottenere anche benefici di natura industriale e occupazionale dallo sforzo di promozione delle fonti rinnovabili.
Sotto questo profilo, il nostro Paese ha purtroppo perso terreno, e siamo diventati importatori di tecnologie. Possiamo e dobbiamo, invece, evitare di sostituire le importazioni di energia convenzionali con importazioni di tecnologie per le fonti rinnovabili o l’efficienza energetica. In altre parole: possiamo e dobbiamo acquisire una capacità di intervento lungo la filiera di produzione di componenti e sistemi, in modo da tradurre gli incentivi in sviluppo, occupazione e sostegno alla internazionalizzazione delle nostre imprese. Il Programma operativo sulle fonti rinnovabili e il risparmio energetico del Quadro comunitario di sostegno 2007-13 è invece destinato alle quattro regioni convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) ed è dotato di risorse per circa 1600 milioni di euro. A questa dotazione finanziaria si aggiungono altri 800 milioni di euro, destinati a tutte e otto le regioni del Mezzogiorno, da utilizzare in modo integrato rispetto ai citati 1600 milioni di euro. La finalità complessiva di questo progetto è di creare infrastrutture – produttive, di reti e di conoscenze – che consentano al nostro sistema produttivo di recuperare un ruolo di primo piano nella filiera produttiva di componenti e sistemi per le fonti rinnovabili e il risparmio energetico. Siamo convinti che questa strada, proprio perché finalizzata a cogliere le opportunità di sviluppo e occupazione di cui dicevo, possa contribuire a rimuovere la sindrome “Non nel mio giardino” che citavo in precedenza, che purtroppo riguarda tutte le fonti energetiche, comprese le rinnovabili.
On. Stefano Saglia