La rivoluzione solare del mondo arabo
E se la rivoluzione solare partisse dal mondo arabo? Sono molti i segnali che lasciano intuire come in Arabia Saudita e in altri stati del Golfo Persico vi sia una reale volontà di scommettere su questo tipo di energia rinnovabile. Non sono solo le opportunità economico-ambientali a rendere interessanti investimenti a medio-lungo termine, ma anche le particolari realtà politico-istituzionali di alcuni Paesi della regione.
L’Oman, ad esempio, potrebbe diventare un interessante laboratorio in questo specifico settore. La solidità della sua struttura statale, la tolleranza sociale e religiosa, la volontà di liberare lo sviluppo economico da un’eccessiva dipendenza da petrolio e dal gas costituiscono infatti una sorta di garanzia agli investimenti esteri. Vi sono poi ragioni più specificatamente tecniche a favorire gli investimenti in tutta la Regione. Per Sander Trestain, vice presidente tecnico di Enviromena Power Systems (società dedicata alle fonti alternative con sede ad Abu Dhabi) nel Golfo gli impianti solari possono fornire ogni anno il “doppio dell’elettricità rispetto a quelli installabili in un paese nuvoloso come la Germania”.
Scenari dunque interessanti. Ecco perché il recente annuncio dell’Arabia Saudita di volere esportare, entro il 2020, elettricità da centrali solari non dovrebbe essere interpretato come una semplice boutade propagandistica. Certo, più verosimilmente si dovrà attendere un po’ più a lungo, ma questo fatto non esclude la possibilità che Riad apra un nuovo interessante fronte politico-energetico. Una data credibile? Forse il 2025, dead line entro la quale per molti analisti il costo del chilowattora da centrali solari a concentrazione dovrebbe raggiungere il pareggio con i combustibili fossili. Resta comunque l’incognita degli incentivi statali, che per il momento latitano. Una contraddizione spiegabile con il fatto che il Golfo è fortemente dipendente dalle entrate petrolifere. Si tratta così di traguardare tempi sufficientemente “certi” in termini di costi- benefici e interpretare scenari e linee di tendenza.
L’Arabia Saudita da qualche tempo ha approntato un piano energetico nazionale che – nel prospettare un forte incremento degli investimenti – prevede anche una diversificazione attraverso il ricorso alle rinnovabili. Saranno ottanta i miliardi di dollari stanziati per questo giro virtuoso. E in dieci anni la capacità installata dovrebbe salire a 60 GW (contro i circa 46 GW attuali). Non male se si pensa che nel 2003 il Paese era ancorato a 35 GW di potenza installata e 153.000 GWh di energia elettrica prodotta. Anche se devono essere risolti diversi problemi tecnici, l’insolazione abbondante per molte ore al giorno durante tutto l’anno potrebbe davvero consentire a ovviare alla principale difficoltà prospettata da chi ancora resta scettico sull’energia fornita dal sole.
In Arabia Saudita le joint venture energetiche fra istituzioni locali e gruppi occidentali (o giapponesi) sono ormai una realtà consolidata. Come quella fra IBM e la locale King Abdulaziz City for Science and Technology, che si sono impegnate a esplorare tutte le possibilità per costruire nella città di Al Khafji (nord est del Paese) un impianto a energia solare per la desalinizzazione e capace di fornire 30.000 metri cubi di acqua il giorno a più di 100.000 persone.
D’altra parte una maggiore efficienza e una “ristrutturazione” della politica energetica del Regno si sono imposte perché elevati quantitativi di petrolio vengono sottratti all’esportazione per soddisfare le necessità del sistema industriale. Senza contare che, più in generale, nel Golfo lo stimolo decisivo a maggiori investimenti in ricerca e sviluppo ha avuto un’accelerazione in seguito alla recente crisi economico-finanziaria. E, particolare non irrilevante, molti progetti sono stati pensati in un periodo in cui il petrolio oscillava a livelli molto inferiori rispetto a quelli attuali.
Così, dal Qatar all’Egitto, le “scommesse verdi” si moltiplicano. Se Doha pensa infatti a ospitare i mondiali di calcio del 2022 con stadi “alimentati” a energia solare e in grado di mantenere una temperatura costante di 27 gradi Celsius, il governo del Cairo intende realizzare con Masdar, società di Abu Dhabi, un impianto lungo la costa orientale del Mar Rosso. Sempre in Qatar si è poi costituita la “strana alleanza” fra la Chevron Qatar Energy Technology (gruppo Chevron Corporation) e la Green Gulf Inc, società locale dedicata alle energie rinnovabili. Una joint venture volta alla sperimentazione di nuove tecnologie solari. Il progetto congiunto dovrebbe raccogliere e valutare dati forniti da attrezzature dislocate su 35.000 metri quadri del Qatar Science & Technology Park (QSTP). In Oman l’Autorità per la regolazione dell’elettricità ha studiato invece la possibilità di realizzare progetti pilota grazie anche alla collaborazione della società danese di consulenza COWI, specializzata in engineering e scienze ambientali. Gli obiettivi sono di misurare le prestazioni dell’energia solare nel territorio del sultanato e fornire alle imprese locali le relative conoscenze tecnologiche. Come gran parte dell’Asia, anche il Medio Oriente sembra dunque destinato a un aumento significativo dei consumi elettrici, un aumento che però metterà a dura prova l’inadeguata rete di distribuzione attuale. In base alle stime di alcuni operatori del settore, una domanda crescente del 5% dovrebbe, infatti, comportare incrementi negli investimenti infrastrutturali di circa il 15%.
Bruno Pampaloni