“Il mare color veleno”, un’inchiesta sull’incubo del polo petrolchimico siciliano
E’in libreria da oggi, per Fazi Editore, “Il mare color veleno” (pp. 270, € 18), un viaggio-inchiesta del giornalista Fabio Lo Verso attraverso la costa più inquinata della Sicilia, fra Augusta e Siracusa, dove la popolazione convive da mezzo secolo con i veleni di un gigantesco polo petrolchimico. Un reportage narrativo crudo e dolente che fa luce su uno dei disastri ambientali meno conosciuti d’Italia ma tra i più duraturi e inquietanti. Su gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del quinto capitolo, dal titolo “Il costo dell’immobilismo“…
Se si mette su un piatto della bilancia l’imperturbabile ascesa della scienza nello stabilire fatti, nessi e responsabilità e sull’altro l’atavica propensione dell’industria a esimersi da ogni fatto, nesso e responsabilità, si avverte che la partita è destinata a durare. Nell’area siracusana, la squadra di ricercatori del CISAS, unita e compatta in attacco come in difesa, nel 2021 ha consegnato i suoi lavori in un volume di circa cinquecento pagine per i tipi delle Edizioni ETS. Intitolato sobriamente “Ambiente e salute nei siti contaminati”, è una summa da non perdere per chi guarda con attenzione, e apprensione, alle sorti dell’ambiente nel quadrilatero siracusano. E non soltanto: nel libro l’attenzione è riservata a tutti i siti marino-costieri contaminati in Italia. [...]. Gli autori conducono il lettore, meglio se non a digiuno di scienze ambientali, nei luoghi del disastro, sviscerando i temi più caldi e complessi.
Il volume ha tanti pregi, ma uno è speciale: la stima del costo dell’immobilismo, per dirla in altri termini dei danari che lo Stato avrebbe risparmiato se avesse compiuto un risanamento delle aree inquinate. I ricercatori calcolano che da Augusta a Priolo «un piano di bonifica potrebbe portare a un risparmio potenziale sui costi per la salute umana pari a 3.952 milioni di euro». Quattro miliardi di euro è una somma notevole, un dodicesimo circa di una finanziaria ordinaria. Per gli scienziati, in assenza delle bonifiche, è il prezzo che si continuerà a pagare nei prossimi vent’anni per curare i malati di cancro e far fronte alle migliaia di ricoveri ospedalieri per l’esposizione all’inquinamento industriale, compresi i casi di morte prematura e le cure ai bimbi malformati.
Per la cronaca, nel caso di Gela, altro sito siciliano disastrato, la cifra stimata è di 6.639 milioni di euro. Il totale per le due aree, Gela e Augusta-Priolo, supera i dieci miliardi di euro. «Non chiederti dunque quanto costa fare una bonifica, chiediti quanto costa non farla», è l’acuta conclusione di Luca Carra, direttore della rivista online Scienza in rete, attiva nella divulgazione scientifica: «Stiamo non solo condannando milioni di persone a vivere in aree degradate e pericolose, sia dal punto di vista sociale sia sanitario, stiamo anche sprecando miliardi di euro a fronte del vantaggio anche economico rappresentato dalla rigenerazione di queste aree».
La strategia da adottare nel passato era questa: continuare quando fosse possibile a salvare vite, tra ricoveri, assistenza e cure mediche, impegnando miliardi di euro, e nello stesso tempo avviare politiche di risanamento ambientale, con altri miliardi. Quanti? Gli stessi dunque che si spenderebbero per curare la gente, circa quattro miliardi in vent’anni. Nel medesimo arco temporale, stimano i ricercatori, per effetto delle bonifiche, la diminuzione della spesa sanitaria sarebbe pari alla somma investita per realizzarle. Il principio insomma è quello di un euro risparmiato negli ospedali per ogni euro speso nelle bonifiche. I vantaggi sarebbero inestimabili: un territorio ripristinato e un ambiente risanato, strutture ospedaliere alleggerite dal sovraccarico oncologico e famiglie alleviate dall’angoscia del lutto che spesso colpisce l’unico reddito disponibile. Inoltre, una volta ripulita dalla contaminazione, l’area siracusana verrebbe riutilizzata per l’insediamento di nuove attività produttive, va da sé poco inquinanti. Con effetti economici che Confindustria ha simulato su scala nazionale: un incremento di circa duecentomila unità di lavoro e un aumento del livello di produzione di venti miliardi di euro. Risultati che si manifesterebbero in appena cinque anni.
Nelle zone del quadrilatero in cerca di sbocchi, senza più un centimetro libero dove costruire un futuro, il risanamento ambientale è dunque sinonimo di salute, rilancio occupazionale e crescita del PIL. Lo stallo di una lunga agonia sanitaria, economica e sociale. Non rimane molto da aggiungere, la necessità delle bonifiche è un dato inconfutabile. Il problema è che il bilancio in Italia è stato fin qui fallimentare, sentenziava l’allora direttore dell’ISPRA Alessandro Bratti nella prefazione al volume del CISAS (ora nella postfazione a questo libro). Dei quarantadue siti martoriati dalle industrie, soltanto il 28% era di fatto nel 2021 stato risanato, il 16% della superficie terrestre e il 12% marina. Con queste credenziali si può ancora affidare alle sole autorità il destino dei territori inquinati? Ex presidente della Commissione parlamentare sulle ecomafie, Bratti usava parole forti, condannava le interminabili procedure «pesanti e vischiose» e giudicava inutile il «continuo scambio delle carte e dei pareri, di richieste e prescrizioni, di deduzioni e controdeduzioni». In una delle nostre conversazioni mi confidava: «Ci sarebbe da sviluppare una collana editoriale intera sulle bonifiche non avvenute, da scrivere fiumi di inchiostro sul sistema barocco e arzigogolato che condanna alla paralisi». Ogni anno che passa senza bonifiche è una nuova ipoteca sulle generazioni future.
Fabio Lo Verso*
*Giornalista originario di Palermo, si è trasferito a vent’anni in Svizzera, dove ha lavorato al quotidiano «Tribune de Genève» come cronista, editorialista e corrispondente parlamentare da Berna. È stato poi direttore del quotidiano «Le Courrier» e in seguito del mensile di approfondimento «La Cité», da lui fondato con il concorso dei lettori. Oggi è membro di un consorzio internazionale di giornalisti d’inchiesta in Europa. “Il mare colore veleno” è il suo primo libro.