Gli inaspettati benefici ambientali (e di salute) del Coronavirus
Che beffa! Doveva arrivare il Coronavirus per ridurre drasticamente l’inquinamento ambientale e farci toccare con mano che un altro modo di lavorare e vivere è possibile, senza che finisca il mondo…
Meglio di qualsiasi direttiva europea, più veloce di qualsiasi Green Deal, più efficace dei Fridays for Future di Greta, più concreto di qualsiasi decisione delle COP dell’ONU, il Coronavirus, in un mesetto, è riuscito a ridurre gli spostamenti di lavoro e la mobilità al minimo necessario – promuovendo lo smart working e le videoconferenze da casa – a rallentare gli eccessi di produzione (e quindi gli scarichi in acqua e atmosfera), il consumo mondiale di petrolio e addirittura a pulire l’aria in Cina (si veda l’immagine della NASA qui di fianco)!
Certo, è una provocazione. Nelle pieghe di questi “risultati” (che sarebbe auspicabile raggiungere per altre vie) si annidano delle negatività, delle vite umane in pericolo e delle possibili ricadute sull’economia che non vanno trascurati, ma le profonde trasformazioni (temporanee?) nella quotidianità di queste settimane meritano un’attenta riflessione e c’è da augurarsi che da queste criticità, una volta risolte le emergenze, possa scaturire una grande opportunità di ripensare le nostre abitudini e i nostri modelli di sviluppo globali. Anche perché il Coronavirus, per il momento, ha mietuto 3.038 vittime (di cui 2.912 in Cina), mentre il solo inquinamento dell’aria è stimato che causi ogni anno, solo in Italia, 80.000 morti premature.
Era intuibile che alla riduzione dei trasporti e della produzione industriale sarebbe seguita una riduzione dell’inquinamento, ma vederlo nelle foto diffuse, nei giorni scorsi, dalla NASA è impressionante: la concentrazione dell’inquinante NO2 (biossido di azoto) sembra sparita dalle mappe della Cina! Già nel 2008, con lo scoppio della crisi economica mondiale, si erano registrati effetti simili, ma – secondo gli esperti dell’agenzia spaziale americana – più graduali e meno incisivi rispetto a quanto sta avvenendo ora, con circa 13.000 voli aerei in meno ogni giorno e un calo significativo nella richiesta di mercato dell’acciaio e di combustibili fossili.
Sul fronte del lavoro da ufficio, lo smart working (regolato in Italia dalla legge 81/2017, che lo individua come diritto del lavoratore, a parità di trattamento economico dei colleghi), è venuto in soccorso alla necessità di ridurre al minimo i contatti diretti tra le persone. Difficilmente, al termine dell’emergenza sanitaria, verrà praticato con l’intensità di questi giorni, ma credo che possa essere servito a dimostrare come una consistente percentuale di riunioni di lavoro possa essere gestita, in futuro, tramite tecnologie digitali che, oltre a far risparmiare parecchi soldi alle imprese, hanno il beneficio di limitare voli aerei e spostamenti in auto o altri mezzi e, spesso, di migliorare anche la qualità della vita delle famiglie. Personalmente avevo già scelto, nel 2015, di abbandonare il costoso affitto di uffici nel centro di Torino e ristrutturare il mio spazio di lavoro in un ex fienile in campagna e lo rifarei altre cento volte, non avendo subito, per questa scelta, né diminuzioni di fatturato né l’oblio sociale. Anche la “redazione” di Greenews.info è sempre stata “virtuale”: io e i miei collaboratori abbiamo sempre lavorato fisicamente in spazi diversi, in diverse regioni dell’Italia, eppure il magazine funziona e sopravvive da 10 anni. Non tutte le attività si prestano egualmente bene allo smart working, ma vale la pena sperimentarlo e, possibilmente, potenziarlo.
Quanto sta succedendo mi convince inoltre, sempre più, che le previsioni di un trasferimento di massa della popolazione mondiale verso le città, entro il 2050, siano profondamente sbagliate. Come avevamo tentato di raccontare due anni fa, in un’edizione del nostro Workshop IMAGE dedicata ai “Creativi di campagna“, dubito che le megalopoli, con il loro caos, la pessima qualità della vita (almeno oggi), e gli effetti potenzialmente devastanti del dilagare di virus ed epidemie, continueranno ad essere attrattive per chi non avrà la stretta necessità di risiedervi. Tanto più quando il digital divide con le “aree marginali” sarà azzerato.
Non si tratta dunque di inneggiare necessariamente alla decrescita felice, ma di rivedere con spirito critico molte nostre abitudini consolidate (di vita e di lavoro), che non sono più sostenibili né compatibili con la tutela della salute e dell’ambiente e comprendere che altri modelli di sviluppo e anche di “crescita” sono possibili, ma vanno forse valutati con parametri nuovi e più adeguati ai tempi, a beneficio di tutti.
Andrea Gandiglio