“Creativi di campagna”, la risorsa nascosta dell’Italia
Nel 1981 la città di Milano contava, secondo i dati Istat, 1.604.844 abitanti. Oggi, nonostante flussi migratori dall’estero più consistenti, sono 1.370.074. A Torino nello stesso anno erano 1.117.154 e oggi sono 884.733. Eppure, complessivamente, la popolazione italiana, dal 1981 ad oggi, è cresciuta da 56.556.911 a 60.483.973. Questi dati sembrano suggerire che le grandi città italiane stanno forse perdendo l’attrattività che avevano negli anni ’70 e ’80, quando Renato Pozzetto girava “Il ragazzo di campagna” (1984), dove il protagonista Artemio ambiva alla vita metropolitana piena di traffico, smog e monolocali invivibili, pur di emanciparsi dalle sue origini contadine e “farsi da solo”.
Da alcuni anni si assiste ad un fenomeno contrario, lento ma progressivo. Seppure i numeri siano ancora modesti, sono sempre più le storie di imprenditori, professionisti, manager, ricercatori che, dopo esperienze di studio e di lavoro nelle grandi città – anche estere – decidono di tornare ai paesini d’origine, oppure eleggono “luoghi del cuore” nelle “aree marginali” del Paese, di montagna e collina, a propria dimora, riattivando filiere produttive perdute o avviando attività che portano innovazione nella tradizione e generano ricadute economiche e occupazionali positive a livello locale. Sono ingegneri che diventano contadini, architetti che si trasformano in albergatori, filosofi che diventano costruttori. E tanti altri. Li abbiamo voluti chiamare “Creativi di campagna” e dedicare loro la settima edizione del Workshop IMAGE (il format Incontri sul Management della Green Economy), che quest’anno sarà ospitato, sabato 27 ottobre 2018, dalla Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba, negli spazi del Cortile della Maddalena.
Letti con maggiore attenzione, anche i dati ONU (“World Urbanization Prospects 2018”) – spesso citati superficialmente – rivelano, in realtà, che le aree del mondo che traineranno lo spostamento dei “due terzi della popolazione globale verso le metropoli, entro il 2050″, sono concentrate in Cina, India e Nigeria, i “paesi in via di sviluppo” che non hanno ancora esaurito il loro boom di spopolamento delle campagne. Ma siamo sicuri che nella “vecchia Europa” (e in Italia, in particolare) si assisterà ancora a questa migrazione?
Lo sviluppo della banda larga, la riduzione del digital divide (il “divario digitale”) nelle aree più periferiche del Paese, il telelavoro da casa (che alcune grandi aziende stanno già sperimentando con successo), l’aspirazione di molti cittadini a recuperare una maggiore qualità della vita, lontana dai ritmi stressanti della città e a maggior contatto con la natura, sono tutti fattori che potrebbero favorire un “nuovo ritorno alla campagna“, che non si configurerà come semplice gesto nostalgico alla ricerca di un passato idealizzato, ma sarà, nella maggioranza dei casi, una scelta ben consapevole e ponderata, con un occhio anche all’ottimizzazione dell’economia famigliare: perché strapagare un monolocale alla periferia della città quando pochi chilometri oltre si può riqualificare un’immobile di famiglia semi-abbandonato, magari con un appezzamento di terreno? Sarebbe ipocrita pensare che tutto ciò avvenga spontaneamente, la crisi economica e occupazionale ha sicuramente velocizzato questo fenomeno, ma ciò che conta ora è la possibilità di trasformarlo in opportunità, per le persone e per il Paese.
Certo, non è tutto oro quello che luccica fuori città. Chi non crede a questo modello potrebbe facilmente citare le controdeduzioni di “campagnoli pentiti”, come il newyorkese David Owen, autore del saggio “Green Metropolis“. E’chiaro che per reggere questa trasformazione le “aree marginali” avranno bisogno di recuperare servizi (che spesso avevano, ma hanno perduto dal secondo Dopoguerra ad oggi) e, in alcuni casi, di creare nuove infrastrutture. Ma la redistribuzione della popolazione italiana sull’intero territorio è, a mio avviso, un modello decisamente più ecologico e desiderabile della concentrazione in poche metropoli sovraffollate.
I pionieri di questa “ricolonizzazione” delle “aree interne” (a cui è stata recentemente dedicata anche una Strategia Nazionale), sono dunque i “creativi di campagna” di cui parleremo nel nostro Workshop e ai quali abbiamo in programma di dedicare molto spazio futuro e voce diretta anche su questo web magazine. Il loro coraggio a rompere con schemi precostituiti e la loro determinazione potranno fare da apripista a chi verrà dopo e, soprattutto, far toccare con mano a politici ed amministratori locali il potenziale turistico, economico, occupazionale di questi territori, dove si nasconde una delle chiavi di rilancio dell’intero Paese.
Andrea Gandiglio