Antonio Secci, dallo spazialismo ai pomodori biologici e ritorno
Dai rovi della Sardegna al salotto artistico di Milano degli anni Sessanta/Settanta e poi il ritorno ai rovi e poi ancora arte contemporanea. E’ la circolarità di Antonio Secci, nato a Dorgali nel 1944, che nel decennio delle avanguardie artistiche arriva nella capitale lombarda – consigliato dagli artisti Gianni Dova e Guy Harloff - con i suoi pennelli da arte figurativa che ripose presto nella valigia per abbracciare il movimento dello Spazialismo. Confrontarsi, quindi, con i grandi nomi della pittura italiana come Lucio Fontana e diventare allievo ed assistente di Roberto Crippa. Un sodalizio forte con uno dei nomi storici del movimento. Nel laboratorio produce opere materiche: gli squarci. Nel 1978 l’esperienza metropolitana finisce, c’è il ritorno alla terra piena di pietre della Sardegna. L’arte è messa da parte, e Antonio inizia a coltivare pomodori brutti ma buoni perché in biologico. Agricoltura “estrema”, ma dopo 20 anni ritorna dalla finestra l’arte, grazie alla critica Cristiana Collu, direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, e ritornano i riconoscimenti, i cataloghi, le mostre in Italia e all’estero. L’agricoltura però resta, divenuta passione e compagna quotidiana…
D) Antonio, la tua vita è stata ricca di natura e di arte contemporanea, quanto della prima c’è nella seconda?
R) Ambiente e arte vanno in parallelo. Io cerco questo spazio dal punto di vista pittorico e non è cosmico, ma vivibile a livello umano. Questo spazio lo puoi trovare nella natura, per me è importante trovare attraverso l’arte il contatto con la natura…
D) Con la terra hai un rapporto quasi quotidiano da molti anni ormai, dopo l’esperienza metropolitana. Ce ne parli?
R) L’ho ripreso da quando c’è stata la “decadenza da artista”. Da bimbo ero molto legato alla terra tramite mio nonno. Il vento, l’aria, l’acqua e quello spazio con cui ogni comune mortale si confronta. Tutto quello che noi facciamo, dallo scrivere una poesia all’andare sulla luna, nasce sempre con gli elementi naturali.
D) Per la tua ricerca artistica è stato però fondamentale il tuo periodo di esperienza in città. Cosa ti ha dato?
R) Nel periodo metropolitano ero coinvolto nella ricerca. In quel contesto noti e vedi la differenza con i profumi e con l’aria che cambia. C’è da dire che le città erano molto diverse rispetto ad oggi. Prima le fabbriche erano a ridosso, molto vicine, ora le città sono più pulite. Però questa calca umana sempre presente si contrappone a questi spazi enormi dove non c’è cemento, non c’è inquinamento. La mia ricerca si è comunque sviluppata nella città, da lì sono nate queste idee della ricerca spaziale. Ho cercato le soluzioni in quella calca umana dove avevo una tale varietà di materiale a disposizione da analizzare…
D) L’artista deve difendersi dalla “calca” o immergersi, farne parte?
R) C’è da capire se riesci a restarne immune. C’è bisogno di comunicazione – che non è quella di oggi, che è solo uno stress. Se ti omologhi diventi un metropolitano che riesce pure a convivere bene con l’aria malsana. Ma se riesci a sentire le essenze ed i profumi tu sei quel mirto, tu sei quel profumo e allora fai il tuo percorso… Anche se il rapporto con la natura deve essere mediato, non puoi atrofizzarti tra i rovi come è successo a me per qualche anno. Io poi ho avuto fortuna, ho ricongiunto le due esperienze, e ora faccio il pittore moderno in un territorio naturale.
D) Hai quindi imparato a prendere il buono sia dalla contemporaneità tecnologica che dalla natura… Un equilibrio non facile. Quale pensi sia oggi il pericolo maggiore che il nostro Pianeta corre? Lo chiediamo sempre a tutti gli intervistati…
R) Bisogna essere miopi per non vederlo, lo stiamo svuotando di quelle essenze primarie. L’ecosistema sta andando a farsi benedire e non è una questione di periodi ciclici. Negli ultimi 40 anni è cambiato tutto. Io mi auguro che non sia così, però tutto fa presagire un brutto peggioramento della situazione…
D) Quali sono i segnali che ti allarmano?
R) Io oltre 20 anni fa ho iniziato a fare l’ orto biologico, nessuno ne parlava, nessuno mi comprava i pomodori piccoli e brutti, preferivano quelli olandesi. Ma riuscivo a produrre in gran quantità: in un metro quadro coltivavo tanto pomodoro mentre ora per avere lo stesso risultato devo avere a disposizione un campo da calcio. Oggi sono aumentate le malattie, prima gli insetti si combattevano fra di loro e facevano crescere le piante. Oggi si produce in modo anomalo, le coltivazioni intensive sono una cosa folle. Si dice che c’è più produzione con la chimica ma è un bluff, si butta tantissimo prodotto. Io devo combattere 50 volte più di prima. Pianto 100 piantine di pomodoro e la metà si rovinano subito, ma non uso il veleno, ne ripianto altre 50. Preferisco fare così che avvelenare il terreno e quindi il frutto che poi mangio!
Gian Basilio Nieddu