Il “Winter Package” e le troppo modeste ambizioni UE su rinnovabili e biocarburanti
La Commissione Europea leva i sigilli al Winter Package, il “pacchetto energia” con cui l’esecutivo UE mette mano alle norme e alle strategie su rinnovabili, efficienza, mercato elettrico e trasporti. Si tratta di quattro misure non legislative, otto proposte legislative e nove documenti scritti, per un totale di ventuno provvedimenti e circa un migliaio di pagine che disegnano le prossime mosse della Commissione sulla questione energetica.
Ribattezzato (forse con un po’troppa enfasi, rispetto al contenuto) “Energia pulita per tutti gli europei”, vediamo quali obiettivi include.
Innanzitutto introduce un target vincolante per l’efficienza energetica. L’insieme dei Paesi dovrà ridurre del 30% (e non più del 27%) i consumi energetici entro il 2030. Nessuna modifica invece per quello al 2030 delle rinnovabili che rimane al già noto 27%, nonostante l’UE possa contare fin da oggi su una percentuale del 24%.
Un secondo punto importante riguarda i biofuel. Si ridurrà il target 2030 per quelli di “prima generazione” provenienti da colture alimentari (mais, colza, girasole) al 3,8% dall’attuale 7%, mentre i biocarburanti avanzati avranno il compito di raggiungere il 6,8% nel mix d’alimentazione dei trasporti, dividendo però il ruolo con l’elettricità.
C’è poi la questione del ruolo dei cittadini, trasformati - nella visione dell’“Unione dell’Energia”- nei cosidetti prosumers. “I consumatori europei saranno protagonisti centrali sui mercati dell’energia del futuro - spiega la Commissione - […] avranno la possibilità di produrre e vendere energia autonomamente”. Il primo passo in questa direzione è contenuto nelle misure di revisione del mercato elettrico e prevede di fornire agli europei una migliore informazione sui loro consumi energetici e sui relativi costi. Le proposte amplieranno la diffusione di contatori intelligenti, bollette chiare e condizioni di commutazione più facili.
Vengono ammessi e saranno regolamentati i regimi noti come “capacity mechanism“, che compensano le riserve di capacità di produzione elettrica da centrali non utilizzate, allo scopo dichiarato di mantenere la sicurezza dell’approvvigionamento e di garantire la continuità della fornitura di elettricità di fronte all’intermittenza delle rinnovabili (per esempio se non c’è vento per far girare le turbine eoliche). Ma la Commissione nega che possano essere finanziate con i “capacity payment” le più obsolete, inefficienti, inquinanti e climalteranti centrali a carbone, perché sarà imposta una “soglia” che le esclude (per avere le compensazioni, le centrali dovranno emettere meno di 550 grammi per kilowatt/ora di CO2). A conti fatti, la misura dovrebbe escludere gli impianti termoelettrici a carbone più vecchi e meno efficienti, ma dare via libera a tutto il resto.
Sarà prevista anche anche una “smart finance for smart buildings“, che punta a stimolare investimenti pubblici e privati per ulteriori 10 miliardi di euro al 2020 incoraggiando una più efficace combinazione di tutte le forme di finanziamento.
Secondo le stime della Commissione, il piano potrà mobilitare 177 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati ogni anno, a partire dal 2020 al 2030, aumentando il Pil europeo dell’1% nel prossimo decennio e creando 900 mila nuovi posti di lavoro.
Tuttavia, per molte associazioni ambientaliste il Pacchetto UE “tradisce l’Accordo di Parigi”. La scelta di non aumentare l’impegno sulle rinnovabili, dicono in molti, è chiara se si osserva la proposta di aggiornamento della Direttiva ad esse dedicata contenuta nel Pacchetto. Nel testo Bruxelles inserisce una misura che colpisce al cuore la priorità di dispaccio: per i Paesi con una quota di rinnovabili già ampia nel mix energetico (15%), i nuovi impianti eolici e fotovoltaici non avranno più il diritto di precedenza sulle fossili. Vi sarà, invece, un nuovo approccio detto di “priorità di accesso”. Le rinnovabili, in sostanza, avranno sempre la garanzia di accesso alla rete, ma non saranno necessariamente le prime a essere utilizzate: nel caso in cui vi sia una sovrapproduzione o un calo della domanda, gli impianti eolici o solari saranno in realtà i primi a essere spenti o esclusi dalla rete, perché sono i più “flessibili” (quelli che si avviano e si spengono più facilmente) rispetto alle centrali che utilizzano le fonti fossili o il nucleare. In questi casi, i produttori delle rinnovabili avranno diritto a compensazioni, ma resta il fatto che verranno privilegiate, paradossalmente, le fonti più inquinanti e climalteranti.
Secondo Tara Connolly, consulente politica di Greenpeace UE, “questo pacchetto di misure non fa altro che tirare il freno. Distribuisce soldi alle centrali a carbone e dà alle compagnie energetiche più potere di controllo sul sistema energetico, limitando il ruolo dei consumatori come produttori di energia rinnovabile”. Al centro delle accuse in particolare “i sussidi conosciuti come capacity payments, di cui beneficeranno carbone, gas e e nucleare, con il pretesto di tenere le centrali pronte per essere accese”. “Al 2020 – denuncia Connoly - circa il 95% delle centrali a carbone avrebbe i requisiti per ricevere questo sussidio, secondo la proposta della Commissione, che include un tetto massimo per la CO2 solo per le centrali a carbone di nuova costruzione”.
La speranza degli ambientalisti è dunque che le proposte della Commissione vengano sostanzialmente migliorate durante la discussione in Consiglio UE, e soprattuto che siano emendate dal Parlamento Europeo, che ha già chiesto, tra l’altro, di portare al 40% l’obiettivo al 2030 per l’efficienza energetica e “almeno al 30%” quello per le rinnovabili.
Beatrice Credi