Dieselgate: risarciti i clienti USA ma l’Europa resta ad aspettare
Quasi 5 miliardi di dollari. È quanto Volkswagen, ha accettato di patteggiare negli Stati Uniti per le 475.000 vetture coinvolte nello scandalo del dieselgate. I risarcimenti inizieranno già dai primi di novembre, man mano che i richiedenti e gli studi legali che seguono le class action compileranno gli appositi documenti online.
Dopo la sentenza di patteggiamento del giudice federale Charles Breyer, a San Francisco in California, infatti, i clienti Usa potranno chiedere il riacquisto della vettura da parte dell’azienda, la cessazione anticipata del leasing e persino il pagamento in contanti. Le vetture coinvolte sono Golf, Beetle, Jetta, Passat e Audi A3 col motore 2.0 TDI, prodotte tra il 2009 e il 2015. Ancora aperto resta il contenzioso sul V6 3.0 TDI. Tutte hanno subito lo stesso “trucchetto” sulle emissioni di ossidi di azoto (NOx).
Più in dettaglio, il gruppo tedesco spenderà più di 10 miliardi di dollari per ricomprare le auto e risarcire i proprietari, e 4,7 miliardi per i programmi volti ad abbattere le emissioni inquinanti. Volkswagen ha, infatti, concordato il versamento di 2,7 miliardi di dollari in tre anni a un fondo fiduciario ambientale, gestito da un amministratore nominato dalla Corte, per compensare le emissioni di ossido di azoto (NOx) in eccedenza dei veicoli 2.0 TDI, e l’investimento di 2 miliardi di dollari in 10 anni in infrastrutture per veicoli a emissioni zero e in iniziative di sensibilizzazione.
In Europa invece la situazione è molto diversa. Dalle nostre parti la casa automobilistica tedesca non intende mettere mani al portafoglio per rimborsare i clienti europei, anche se le automobili diesel messe sul mercato del Vecchio Continente con false attestazioni sulle loro emissioni nocive sono state ben 8,5 milioni.
Quello che manca in Europa – e che è invece storicamente presente negli Stati Uniti – è un serio meccanismo di compensazione dei consumatori, intesi come categoria unica. I consumatori dovrebbero potersi associare tra loro per presentare una richiesta di risarcimento collettiva ad un’azienda ritenuta responsabile. Ci sono anche nella UE delle “class action” nate in vari Paesi, ma niente di strutturato come negli USA, viste le diverse legislazioni degli Stati Membri. È, infatti, competenza nazionale applicare le regole UE se vengono violate in materia di protezione dei consumatori, ma gli approcci sono molti diversi tra i vari Paesi.
L’unica via per raggiungere qualche risultato, quindi, sarebbe passare per Bruxelles e lasciare che la Commissione assuma un ruolo di coordinamento ponendosi come facilitatore tra le autorità di protezione dei consumatori dei 28 sui reclami contro Volkswagen per il Dieselgate. La Commissaria alla giustizia Vera Jourova, aveva già incontrato a settembre alcuni gruppi di consumatori provenienti da tutto il Continente per valutare come far valere le ragioni dei clienti europei. Inoltre, Bruxelles ha inviato una lettera formale al gruppo Volkswagen per invitarlo a riparare e rimborsare gli automobilisti europei con modalità analoghe a quelle previste negli Stati Uniti.
La differenza tra i vari sistemi giudiziari gioca, naturalmente, a favore del colosso di Wolfsburg. Dietro la strategia della Volkswagen c’è un calcolo molto semplice: i veicoli diesel interessati dalle manipolazioni sono stati 11 milioni in tutto il mondo, di cui 2,4 milioni in Germania. Applicando alla sola Germania soluzioni come quella concordata si raggiungerebbero rapidamente cifre molto più alte di quelle che l’azienda dovrà sborsare negli Stati Uniti. L’accordo statunitense assorbe già quasi del tutto i 16 miliardi di euro accantonati dall’azienda per rimediare allo scandalo. Versare indennizzi anche ad altri milioni di clienti metterebbe la Volkswagen in ginocchio. Da non sottovalutare, quindi, anche la forza e l’influenza tedesca all’interno dell’Unione Europea nel difendere una grande azienda nazionale.
Nel momento in cui è diventato chiaro che la posizione di Volkswagen non sarebbe cambiata, l’obiettivo si è dunque ridimensionato in quello di assicurare che tutte le associazioni e autorità nazionali per la protezione dei consumatori agiscano con un approccio simile, garantendo a tutti i cittadini dei 28 un uguale trattamento (qualche che sia) nonostante le differenze tra i sistemi nazionali. Una scommessa pur sempre impegnativa che, tuttavia, per essere vinta necessita di tempi lunghissimi. La vicenda è dunque lontana da una facile risoluzione ed è destinata a proseguire nei tribunali di tutta Europa ancora per molti mesi – se non anni.
Beatrice Credi