OrtiAlti: in città i pomodori si raccolgono sul tetto
“La prossima settimana tocca a me ripulire dalle erbacce… è ora di seminare”. Emanuela Saporito, architetto urbanista e da un paio d’anni orticultrice a tutti gli effetti, esamina il fitto strato di verde clandestino che ha ricoperto il terriccio dormiente durante l’inverno. Non siamo in campagna: l’orto di Emanuela e della sua collega Elena Carmagnani si trova nel cuore di Torino, in un interno cortile del quartiere di San Salvario. Su un tetto, per la precisione. È un piccolo giardino segreto di 40 metri quadri, un salotto verde che si apre tra scale e balconi, ma soprattutto è un’intuizione diventata realtà, il seme (mi si perdoni l’ovvia metafora) di un progetto che oggi sta dando i primi importanti frutti.
Emanuela Saporito ed Elena Carmagnani sono infatti le fondatrici dell’associazione OrtiAlti, che, dopo un percorso non sempre facile fatto di studio, ricerca di partner e finanziatori, bandi di concorso, riconoscimenti e un premio importante (We-Women for Expo nel 2015), ha finalmente dato il via, il 22 febbraio scorso, al cantiere per la realizzazione di un grande orto pensile sul tetto delle Fonderie Ozanam, ex complesso industriale nella zona nord di Torino.
Ma partiamo dall’inizio, dal giardino segreto di San Salvario. Tutto è cominciato nel 2010 dall’idea di Elena di realizzare un orto per il cohousing in cui ha sede lo Studio 999, di cui è socia. Per formazione e vocazione, Elena si occupa da anni di architettura ecosostenibile e insieme di progettazione culturale; un orto ideato e costruito insieme a una piccola comunità di condomini si è rivelato così il perfetto connubio tra le due passioni. Ed è stato subito un successo: Oursecretgarden ha vinto il Premio Innovazione di Legambiente, è stato pubblicato su decine di riviste specializzate e visitato da centinaia di persone durante le “notti bianche” del quartiere, diventando un eccezionale biglietto da visita per lo studio di architettura.
Poi nel 2013 Elena incontra – o meglio, re-incontra – Emanuela, giovane ricercatrice del Politecnico specializzata in urbanistica partecipata, e il sogno dei tetti verdi comincia ad assumere un respiro più ampio. “Abbiamo deciso di scrivere un progetto di ricerca – racconta Emanuela – che coniugasse una parte più tecnica di recupero delle superfici urbane inutilizzate, con un’analisi delle pratiche sociali legate all’organizzazione di spazi, pubblici o condivisi, autogestiti”. Il punto di partenza è una semplice constatazione: oltre il 20% delle superfici urbane è costituita da tetti piani, coperti di catrame, roventi in estate, inutilizzati e spesso inaccessibili. Solo a Torino, ad esempio, si contano 800 ettari di tetti piani, due volte e mezza la superficie di Central Park. La fantasia di un grande parco pensile diffuso e capillare sarebbe seducente per chiunque, figuriamoci per un’urbanista… “Ci siamo dunque chieste quali sarebbero gli effetti concreti sulla vita in città e come trasformare un intervento tecnologico-architettonico in un progetto sociale”.
La peculiarità di OrtiAlti sta infatti proprio nell’aver creato e testato una metodologia, un vero e proprio sistema di intervento che non si limita alla mera costruzione dell’orto, ma ne progetta la vita, lo sviluppo e la gestione sin nei minimi dettagli, facendosi carico dell’animazione culturale e sociale dello spazio. “Prima ancora dell’opera di recupero vera e propria – spiega Emanuela – cominciamo con la co-progettazione insieme alla comunità a cui è destinato l’orto, ascoltiamo tutte le esigenze, facciamo da mediatori. Il primo passo, specie quando si tratta di spazi condivisi, è mettere tutti d’accordo, e non è facile”. Solo in un secondo momento si arriva alla realizzazione, per la quale è utilizzata la tecnologia del verde pensile, un sistema brevettato costituito da una serie di materiali tessili e plastici che, posati sui tetti, li rendono impermeabili e permettono all’acqua di essere trattenuta e allo stesso tempo di scorrere facilmente. Sugli strati isolanti si posa dunque il terriccio: ne bastano 20 centimetri per poter coltivare una grande varietà di ortaggi, insalate e insalatine, pomodori, peperoncini, zucchine ed erbe aromatiche. OrtiAlti a questo punto offre anche servizi di tutoraggio per i novelli orticoltori, organizza workshop formativi o si fa carico direttamente, tramite cooperative con cui collabora, di gestire l’orto quando chi l’ha commissionato non possa farlo (nel caso si tratti, ad esempio, di un’azienda o di un centro commerciale).
I vantaggi pratici di un orto sul tetto, come insegnano altre esperienze in giro per il mondo, sono incontestabili. Oltre alla produzione di ortaggi a km.0 e al fattore di aggregazione sociale che il cibo sempre porta con sé, ci sono i dati sul risparmio energetico, che arriva fino al 30%, abbattendo di oltre il 75% il consumo per il raffrescamento in estate: come a dire, se avete un tetto verde, dell’aria condizionata non ve ne fate niente. Ci sono poi l’isolamento acustico (da non sottovalutare in città), l’abbassamento delle temperature nell’intorno, l’assorbimento delle acque piovane, la diminuzione di CO2. E, non da ultimo, un 65% di detrazioni fiscali che farebbe gola a chiunque.
L’intera metodologia targata OrtiAlti ha preso forma negli ultimi due anni attraverso una serie di concorsi e fortunati incontri: “Il primo passo è stata la partecipazione, insieme al Politecnico di Torino e all’azienda Harpo, al bando europeo Life+ – racconta Emanuela – Non abbiamo vinto, ma non ci siamo scoraggiate e abbiamo cominciato a cercare finanziamenti privati attraverso il Social Innovation Tournament della Banca di Investimento Europea, che ha selezionato il nostro progetto tra i 15 finalisti. Il vero punto di svolta è stata però la partecipazione a un programma di tutoraggio della Camera di Commercio di Torino, grazie al quale siamo venute in contatto con il mondo del terzo settore e delle cooperative sociali”. È così che è entrata a far parte della cordata la Cooperativa Agridea, che da 20 anni si occupa di gestione delle aree verdi. Ed è così che, un giorno del 2014, Emanuela ed Elena hanno incontrato Loris Passarella della cooperativa Meeting Service e si sono innamorate delle Fonderie Ozanam.
Le Fonderie Ozanam sono un ex complesso industriale un po’ degradato che occupa un intero isolato nella periferia nord di Torino. “L’edificio è stato progettato negli anni ’30 dall’architetto bulgaro Nicolaj Diulgheroff ed è uno dei pochi esempi di Secondo Futurismo italiano a Torino – si entusiasma Emanuela – Ha degli insoliti dettagli “navali”, come le finestre ad oblò, ma soprattutto ha un enorme tetto piano incatramato di 600 metri quadri. Quando l’abbiamo visto, il primo pensiero è stato: Wow, sarebbe perfetto! Anche perché il primo piano delle Fonderie ospita il ristorante gestito dalla cooperativa e i corsi per vari soggetti svantaggiati, come extracomunitari, minori a rischio o pazienti psichiatrici: sul tetto si potranno dunque coltivare ortaggi per la cucina e organizzare workshop di ortoterapia o altre attività didattiche per gli studenti”. È così partita subito la ricerca dei finanziatori, che, complici il premio di Expo Milano vinto nel febbraio 2015 e la visibilità guadagnata, sono arrivati spontaneamente. Grazie dunque al sostegno della Fondazione Magnetto, di Baghi srl, Imam Ambiente e Unipol e con la partnership di Harpo e dell’agenzia di comunicazione Quattrolinee, il primo grande Ortoalto vedrà presto spuntare i suoi pomodori.
E intanto Elena ed Emanuela già lavorano al prossimo visionario progetto: un orto panoramico sulla terrazza del nuovo polo commerciale Carrefour di Nichelino. Una passeggiata agreste aperta al pubblico, con un programma di workshop e animazione culturale, che certo renderà meno alienante la spesa al neon del supermercato, dando forse un senso nuovo (e più concreto) al vecchio slogan “dal produttore al consumatore”.
Giorgia Marino