Alcide Pierantozzi, scrittore peripatetico a spasso lungo la via Francigena
Classe 1985, Alcide Pierantozzi è un giovane scrittore che ha appena pubblicato il suo quarto libro Tutte le strade portano a noi. Edito da Laterza, il libro è un reportage di viaggio che ripercorre, tappa dopo tappa, volti e storie che l’autore ha incontrato lungo la via Francigena fatta a piedi con un gruppo di amici nell’arco di quarantacinque giorni. Presentato al Circolo dei Lettori di Torino, Alcide racconta a Greenews.info – a una settimana dal 5° Workshop IMAGE dedicato all’ecoturismo – i retroscena di questa lunga passeggiata a contatto con il territorio.
D) Alcide, cosa ti ha lasciato questa esperienza a piedi lungo la via Francigena?
R) Una gioia sconfinata… Credo sia stato uno dei pochi momenti realmente felici della mia vita, e in cui ero cosciente – cosa rara – della mia felicità. Quando siamo arrivati a Bari dopo più di un mese di cammino, Romina (una delle mie compagne di ventura) ha detto: “È finito il nostro viaggio”. Quel nostro è la cosa che più mi ha commosso di tutta quanta l’esperienza. Se chiudo per un secondo gli occhi e penso alle sterminate vallate toscane, o ai boschi del viterbese in cui camminavamo per ore, io sento che siamo ancora lì, tutti insieme. Magari siamo lì a litigare, a scannarci, a offenderci, oppure a ridere, a scherzare… Ma siamo lì.
D) Che immagine hai ritratto del nostro Paese e soprattutto del suo paesaggio?
R) L’Italia è un paese strano. È inutile ripetere quanto sia bella, e quanto suggestivi siano alcuni posti (la Toscana, l’Irpinia, il Lazio); dico che è inutile perché in realtà noi abbiamo incontrato anche posti molto brutti, più che altro perché l’intervento dell’uomo li ha massacrati. Penso a certi borghi medievali, soprattutto al Nord, con le case ristrutturate da certi architetti degli anni Ottanta, che hanno annientato l’armonia del paesaggio. Mi rendo conto che è come cercare il pelo nell’uovo, perché l’Italia è magnifica e per fortuna interventi di questo tipo sono rari, però questi posti esistono e sono come delle macchie scure all’interno del paesaggio. Nel libro ne parlo molto.
D) Hai trovato tracce di inquinamento ovunque o sei riuscito a percorrere tratti ancora “incontaminati”?
R) Camminando lungo la Francigena, abbiamo percorso strade antiche, raramente asfaltate, e molti sentieri di campagna. Sono tutti luoghi puri, dove gli animali si affacciano indisturbati e il massimo che si può trovare è un palo del telefono ogni tanto. Qui abbiamo trovato pochissime tracce di inquinamento, perché i camminatori della Francigena sono molto attenti a non sporcare. Noi avevamo Elena che ci costringeva a raccogliere da terra anche le cicche di sigarette, e avevamo uno sponsor come Alce Nero che ha una sua politica molto chiara di rispetto dell’ambiente.
D) Quanto hai potuto avvicinare le tradizioni dei luoghi che hai percorso? E quanto, secondo te, le tradizioni servono oggi a identificare un territorio?
R) Le tradizioni sono la circolazione sanguigna di qualsiasi territorio. Secondo me le tradizioni sono “la scienza” di qualsiasi città e di qualsiasi paesaggio. Dire che sono la scienza non vuol dire che sono l’epistème, per dirla con i greci, o la verità di quel luogo. Tra un borgo irpino e le sue tradizioni secolari intercorre lo stesso nesso che c’è tra un antibiotico e la bronchite. L’antibiotico, che è la tradizione, cura le malattie della città, le mette al riparo. Se poi il riparo sia autentico o illusorio e passeggero non so dirlo, è una domanda cui non può rispondere né un antropologo, né un medico, né un sacerdote (e tantomeno uno scrittore). Può rispondere solo la filosofia.
D) Come definiresti le parole paesaggio e ambiente?
R) Per me ogni cosa è paesaggio, anche l’anima delle persone. Il paesaggio eccede l’ambiente, direi che è l’ambiente insieme alla sua energia.
D) Quanto l’ambiente, nel suo senso più ampio, entra a far parte dei tuoi romanzi?
R) In senso ampio non moltissimo, ma nei miei libri c’è sempre un’ambientazione molto forte, che è poi la coscienza entro la quale si compiono gli atti dei protagonisti. Nelle mie storie, ad esempio, mi sono accorto che c’è sempre una fonte d’acqua: un fiume, un lago, il mare. Se non c’è questa fonte d’acqua ho l’impressione che la storia non possa partire e che manchi di nerbo.
D) Quanto è importante per te l’ambiente, qual è il rapporto che hai con la natura?
R) Sono cresciuto in Abruzzo, in aperta campagna. Per me la natura è sacra e terribile al tempo stesso. Dico terribile perché so, avendola conosciuta bene, che non è un luogo idilliaco, e non è nemmeno un luogo lontano dall’umanità. Il modo di guardare alla natura, ai suoi cicli, alla morte e alla rinascita dei suoi elementi, è profondamente umano. Questo la rende tragica, la rende il luogo del tremendum e del fascinans di cui parlava il grande Rudolf Otto. Il famoso thauma dei greci non è la meraviglia, come ci viene insegnato a scuola, ma è “l’angosciato stupore” dinanzi alla forza delle immagini che la natura ci propone. Guardare alla natura senza angoscia, senza paura – al contrario di come è stato fatto dalla notte dei tempi – è un atteggiamento borghese che non mi apparterrà mai.
D) Quali sono i gesti quotidiani che compi per rispettarla?
R) A parte quelli che compiono più o meno tutti (fare la differenziata, evitare di lasciare cartacce in giro e cicche di sigarette) diciamo che difficilmente accetto a cuor leggero di far costruire qualcosa nei miei terreni in Abruzzo. La mia famiglia, che è una famiglia di proprietari terrieri, ha diversi possedimenti in quella che ormai è diventata una zona industriale. Posso dirti che qualche anno fa, dinanzi alla possibilità di vendere questi terreni, io e la mia famiglia abbiamo deciso di non cedere, di tenerci la terra (in un momento in cui qualche soldo in più avrebbe fatto comodo). Piuttosto che vendere i terreni in cui sono cresciuti i miei nonni per farci costruire fabbriche di gelati farei una battaglia per l’eliminazione dei gelati nel mondo!
D) Quanto pensi che la letteratura contemporanea possa contribuire a sensibilizzare alla tematica ambientale?
R) In teoria la letteratura, come anche il cinema, può sensibilizzarci a qualsiasi tematica, e soprattutto a tematiche di carattere antropologico e politico. Perciò se leggo un romanzo come “Sembra proprio di stare in paradiso” di Cheever (libro straordinario sull’inquinamento e sulla speculazione edilizia) o “La strada” di McCarthy o addirittura “L’isola di Arturo” della Morante potrei, sempre in teoria, rapportarmi in maniera diversa al territorio che mi circonda. Il problema è che non si può chiedere a uno scrittore di lavorare sulla sensibilizzazione delle problematiche sociali, questa è una cosa che spetta ai politici e alle loro campagne di prevenzione. Lo scrittore spesso stravolge i significati della realtà, è ambiguo per necessità, è connotativo (nel senso di metaforico) rispetto al materiale di cui dispone, anche rispetto all’ambiente che descrive. Se io devo raccontare un personaggio di un certo tipo, gli farò buttare le cartacce per terra oppure lo farò fumare, il che non vuol dire che la mia intenzione sia quella di caratterizzarlo come un personaggio negativo. Spesso è il contrario, perché la letteratura lavora sui contrasti. Detto questo, sicuramente la letteratura può fare per le problematiche sociali, come anche per la scienza, quello che la politica è intenzionata a fare: i politici non prendono in considerazione certi temi, a cominciare da quelli importantissimi – il cancro è uno dei molti – perché i tempi di risoluzione sarebbero troppo lunghi, e un politico non ha mai interesse a investire su qualcosa di cui non avrà il merito tra una decina d’anni. In questo sì, la letteratura guarda al futuro. Ma ripeto: il suo modo di guardare al futuro procede per simboli. Per la buona letteratura la realtà è fatta di simboli e mai di realtà. Il problema è che in Italia questa cosa non si è ancora capita e molti scrittori sono convinti di poter affrontare un problema prendendolo di petto, denunciandolo in modo diretto. Tuttavia il risultato di molti libri che tentano di raccontare il presente in modo diretto, diciamo senza mistificazione, è molto modesto.
Daniela Falchero