Dopo le fabbriche. Le officine creative crescono nel segno dell’ecosostenibilità
Cosa succede quando chiudono le fabbriche? Sono state scritte pagine e pagine su come nel bene (e, spesso, nel male) cambiano le città. E’ certo che, dalla Ruhr al Galles, prima o poi, dove chiudono le fabbriche, se il tessuto sociale ed economico non si sgretola, si avvia un ragionamento su come restituire spazi, aria, salute ai cittadini e su come costruire un’economia più verde e sostenibile.
A Torino, l’ex Manchester d’Italia, due esperienze tra le più interessanti hanno trovato casa a Porta Palazzo, nella zona che ospita quello che forse e il più grande mercato alimentare, e non solo, d’Europa.
La prima e’ il collettivo IZMADE; un gruppo di giovani designer (Giuseppe Vinci, Pasquale Onofrio, Alberto Rudellat, Alessandro Grella e Andrea Pasquarelli) di quelli che ci si aspetterebbe di trovare a Berlino o a New York. IZMADE progetta, realizza i propri prodotti, che poi commercializza direttamente, utilizzando solo materiali di recupero, scarti di lavorazione industriale, materiali innovativi e certificati. Il grande mercato di Porta Palazzo e’ indubbiamente una fonte di ispirazione e così cassette della frutta diventano comodini, pallet tavoli e grandi latte di pelati lampade ed abat-jour. Un vero lavoro di ricerca, che ha permesso loro, in questi anni, oltre che diventare un riferimento nazionale sul tema, di entrare in contatto con alcuni tra i locali più trandy di Torino come Tomato il primo Backpackers Hotel (let. hotel per saccopelisti) d’Italia che, non a caso, ha scelto la sostenibilità come stile.
Il laboratorio di IZMADE e’ una grande officina e falegnameria che trova posto nei locali di una delle Case del Quartiere volute dal Comune. La stessa officina, non a caso, ospita Humake.it una startup davvero speciale. Per una strana deformazione dell’informazione, almeno in Italia, startup e’ diventato sinonimo di “soldi facili con il digitale”. Nulla di più’ sbagliato e Paolo Di Napoli, founder (come si dice oggi) di Humake.it questo lo sa. Lui e’ uno scienziato dei materiali e ha riprodotto in scala, in legno e a impatto (quasi) zero, le macchine che caratterizzano la catena di riciclo del HDPE (polietilene ad alta densità), quello con cui si fanno i tappi delle bottiglie di PET o i flaconi di detersivo. Ha realizzato uno sminuzzatore, per macinare tappi e contenitori; un “estrusore” per scaldare e pressare dentro piccoli stampi l’HDPE macinato. Tutto in legno, tutto a incastro, tutto alimentato a pedali, anche la fresatrice a controllo numerico con cui realizza gli stampi che danno nuova forma all’HDPE per farne dei piccoli oggetti. Per ora, l’obiettivo di Humake.it e’ la didattica: permettere alle persone di vivere un processo virtuoso di riciclo e riuso dei rifiuti. Un domani, pero’, gli strumenti predisposti da Humake.it potrebbero diventare una risorsa per la produzione in territori di frontiera e diventare kit di educazione ambientale. Un tema su cui il nostro paese ha un indubbio ritardo ed una enorme necessita’.
Carlo Boccazzi Varotto