Prodotti tipici: il CNR presenta a Expo i nuovi sistemi antifrode
Cosa sono esattamente i “prodotti tipici“? E cosa hanno di diverso, questi prodotti che rappresentano commercialmente una fetta importante dell’agroalimentare Made in Italy e soprattutto declinano all’estero l’immagine del nostro Paese? Possono rappresentare un modello produttivo ed economico esportabile anche in paesi emergenti? E come si può valorizzarli e difenderli dalle contraffazioni che ne minacciano l’unicità e la tipicità?
Se ne parlerà il 6 maggio all’Expo di Milano in occasione dell’evento “I prodotti tipici: una contraddizione o una speranza per l’agricoltura e il Made in Italy?” organizzato dal Dipartimento di scienze bio-agroalimentari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Disba-CNR), all’interno del Padiglione Italia, dove alcuni esperti illustreranno le nuove metodologie per valorizzare i prodotti tipici italiani Dop ed Igp e difendere i consumatori dalle frodi.
“Analisi che ora sono realizzate in centri di ricerca specializzati e che presto potranno essere alla portata di tutti”, spiega Andrea Scaloni, che dirige l’Istituto produzione animale in ambiente mediterraneo (Ispaam-CNR). “Qualche esempio di falsificazione? Per la mozzarella di bufala campana il disciplinare prevede che si usi il 100% di latte di bufala. I ‘falsificatori’ invece lo mescolano con latte bovino o bufalino liofilizzato, meno costoso e spesso proveniente da altre nazioni: oggi la spettrometria di massa consente di analizzare un campione di latte per scoprire di che tipo è, identificandone i peptidi e le proteine. In particolare all’Ispaam-CNR di Napoli è stato messo a punto un metodo di analisi molto rapido, che consente di rivelare anche piccole aggiunte (2-5%) di latte non dichiarato, a fronte di quelle normalmente riscontrate (sopra il 15%). Tale metodologia, messa a punto per il latte di bufala, funziona molto bene anche per quello di pecora e di capra, aprendo così vasti scenari di applicazione per la certificazione di molte altre Dop ed Igp”.
In alcuni casi, nei prodotti a base di maiale del tipo Cinta senese, Nero dei Nebrodi o Casertano, è utilizzata carne da razze suine meno pregiate. “Oggi grazie a tecniche di microarray – che permettono di esaminare i prodotti derivanti dal genoma di un organismo su una singola lastrina di vetro o su un chip di silicio – è possibile riconoscere sequenze di DNA specifiche che caratterizzano in maniera univoca una determinata razza”, aggiunge Scaloni. “Questa ricerca è il frutto della collaborazione tra i laboratori dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria (Ibba-CNR) di Lodi e del dipartimento di Agricoltura, alimentazione ed ambiente dell’Università di Catania”.
Per essere certi che l’olio monovarietale extravergine DOP non sia stato miscelato con altri oli meno pregiati, se ne valutano gli aromi con la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare e con tecniche di cromatografia abbinate alla spettrometria di massa, mentre altre analisi basate sul contenuto di isotopi permettono di ottenere informazioni sul sito geografico di provenienza. Queste tematiche saranno affrontate da ricercatori dell’Università di Napoli ‘Federico II’.
“Il Made in Italy agroalimentare è un settore eterogeneo, che raggruppa centinaia di prodotti freschi e lavorati, una grande varietà di costi e disciplinari, di cultivar vegetali, razze animali e prodotti derivanti da processi di trasformazione, sapientemente selezionati nel tempo e in funzione del territorio, un ricco patrimonio culturale e tecnologico, non facile da regolamentare e controllare”, conclude Francesco Loreto, direttore del Disba-Cnr. “Oltre all’indubbio valore simbolico e identitario, si tratta di un altissimo valore economico, messo a rischio da molteplici insidie, prime fra tutti le frodi alimentari”.