“Farmageddon”: il vero prezzo della carne economica
Le fattorie tradizionali sono scomparse dai nostri campi a mano a mano che la produzione di cibo è diventata un’industria globale. Non abbiamo più alcuna certezza di cosa entri nella catena alimentare: la moderna politica intensiva nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento è una minaccia per le nostre campagne e per la nostra salute in qualunque parte del mondo. Cereali e soia che potrebbero nutrire miliardi di persone vengono coltivati come mangime animale. Tonnellate di pesce di piccola taglia, in grado di sfamare un intero continente, vengono trasformate in farina e usate per nutrire i pesci d’allevamento. La fauna selvatica è sistematicamente distrutta. I rischi di questo sistema sono alti: metà degli antibiotici usati al mondo viene regolarmente somministrata agli animali negli allevamenti intensivi, contribuendo alla nascita di superbatteri letali e resistenti. Per non parlare dei danni al sistema idrico e all’ambiente causati dallo smaltimento del letame delle migliaia di animali ammassati in condizioni disumane. In “Farmageddon“, da poco pubblicato dalla casa editrice Nutrimenti, Philip Lymbery – a capo della principale Ong del settore – guida il lettore in un incredibile (e a tratti inquietante) viaggio dietro le quinte di un’industria che in tutto il mondo è ormai fuori controllo. Il risultato è un grido d’allarme contro l’attuale sistema, ma anche un tentativo di trovare una strada per un futuro migliore. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente“, pubblichiamo oggi la seconda parte dell’introduzione del volume, scritto da Lymbery insieme alla giornalista Isabel Oakeshott.
L’‘Horsegate’, così venne chiamato, era tutta una questione di fiducia. La fiducia dei consumatori era crollata e le aziende si leccavano le ferite. Alcuni ammisero di aver perso il controllo della filiera che, nel corso degli anni, era diventata più lunga e complessa,dal momento che il cibo poteva essere maneggiato da diversi soggetti prima di arrivare ai supermercati. Alcuni si lamentarono dell’incessante pressione per prezzi sempre più bassi durante la recessione globale iniziata nel 2007. “Ora bisogna che i supermercati smettano di cercare in tutto il mondo i prodotti più economici possibile”, tuonò il presidente della National Farmers Union(Nfu), Peter Kendall.
L’Horsegate è stato lo scandalo maggiore per il cibo britannico dai tempi della mucca pazza o Bse, che vent’anni prima aveva provocato un divieto di esportazione della carne di manzo dal Regno Unito. La Bse, provocata trasformando degli erbivori naturali come le mucche in carnivori, nutrendole con pasture a base di carne e ossa, fu un vero autogol per la zootecnia intensiva. Enon sarebbe stato l’ultimo.
Ovviamente c’è chi vince in questo sistema, come le aziende che vendono prodotti che promettono ai coltivatori raccolti sempre più abbondanti. La nuova tecnologia può essere efficace nel breve termine, ma prima o poi qualcuno ne paga le conseguenze. In India,per esempio, circa duecentomila coltivatori si sono suicidati dal 1997, di solito dopo essersi pesantemente indebitati. Ipotecano le loro stesse vite per comprare dei ‘magici’ semi geneticamente modificati, per poi scoprire troppo tardi che sono inutilizzabili per le condizioni locali. Il raccolto è un fallimento. In Inghilterra due dozzine di suicidi tra i coltivatori provocherebbe una protesta nazionale; in India, la tragedia si è svolta quasi in silenzio.
Negli Usa, mentre facevo ricerche per questo libro, sono stato in mezzo a migliaia di acri di mandorli, tutti in file perfette, respirando un’aria così satura di spray chimici da odorare di sapone per i piatti. Non un filo d’erba, non una farfalla o un insetto. In lontananza uno dei tanti allevamenti di vacche dello Stato. Migliaia di mucche apatiche con mammelle grandi come palloni se ne stavano immobili nel fango, in attesa di essere nutrite, munte, o riempite di medicine. Non c’era penuria di terra; non c’era alcuna ragione logica per cui non fossero libere sull’erba. In un mercato di bestiame in una città vicina, un contadino piangeva mentre mi raccontava di come l’allevamento di un amico era fallito, e il proprietario, disperato, si era tolto la vita.
In Argentina sono stato in un campo di soia Ogm mentre migliaia di zanzare mi ronzavano intorno al capo. Non c’era acqua stagnante, e nessuna delle altre condizioni normalmente associate a un numero così alto di insetti. Qualcosa non quadrava.
In Perù ho visto una bambina malnutrita, coperta di piaghe dovute all’inquinamento dell’aria causato dall’industria della lavorazione del pesce, e i dottori dicevano che poteva guarire e avere un’alimentazione sana se solo le avessero dato le acciughe locali, destinate invece a nutrire gli animali degli allevamenti intensivi in Europa.
In Francia abbiamo parlato con i familiari di un operaio morto per i fumi tossici mentre ripuliva dalle alghe verdi fosforescenti una spiaggia un tempo incontaminata. Quella sostanza viscida che deturpa le coste della Bretagna ogni estate è il volto visibile dell’inquinamento proveniente dagli immensi allevamenti di maiali della regione.
In Gran Bretagna ho contribuito a una campagna contro l’introduzione del primo mega allevamento intensivo di vacche del paese, con le sue ottomila mucche. Abbiamo vinto quella battaglia, ma per quanto ancora?
C’è la diffusa e radicata convinzione che allevamento e agricoltura intensivi – che considerano la delicata arte di allevare animali e lavorare la terra uguale a ogni altro impiego, come costruire congegni elettronici o copertoni di gomma – sia l’unico modo per produrre carne a prezzi accettabili. Per troppo tempo questa semplice premessa è rimasta quasi completamente incontestata. I governi si sono affrettati a creare le condizioni per cui si possa comprare un pollo per tre euro, pensando di fare un favore a tutti. Eppure la realtà su cosa ci sia dietro alla produzione della carne economica rimane nascosta.
Questo libro osserva le conseguenze involontarie di preferire il profitto all’alimentazione delle persone. Si chiede come qualcosa che aveva intenzioni così nobili come nutrire i popoli sia potuto finire così male.
Si domanda dove sia l’efficienza dello stipare milioni di animali in capannoni, riempiendoli di antibiotici, spendendo immense somme di denaro per trasportare il cibo necessario a nutrirli,quando potrebbero stare fuori sull’erba.
Si domanda quale risparmio di spazio ci sia in un sistema che si basa su milioni di acri di terra fertile destinati a produrre cibo per gli animali che vivono spesso a centinaia di migliaia di chilometri.
Si domanda cosa ci sia di intelligente nel dover rimuovere montagne di letame da pavimenti di cemento e trovare un modo per smaltirlo, quando, se gli animali fossero nei campi, i loro escrementi tornerebbero alla terra da soli, arricchendo il suolo nel processo,come stabilito dalla natura.
Si chiede se abbia alcun senso incoraggiare la gente a mangiare una gran quantità di pollo, maiale e manzo a basso costo da animali selezionati in base alla loro capacità di crescere tanto da produrre carne estremamente grassa.
E infine, solleva la questione se lo scenario Farmageddon – la morte delle campagne, il flagello delle malattie e miliardi di persone che muoiono di fame – sia davvero inevitabile. Con gli occhi delle persone e degli animali coinvolti, questo libro svela ciò che non vogliono che sappiate, e si chiede: può esserci un modomigliore?
Philip Lymbery*
* E’ il direttore generale di Compassion in World Farming, la maggiore organizzazione non governativa per la protezione e il benessere degli animali d’allevamento, fondata in Inghilterra nel 1967 e ora presente in dieci paesi. A capo dell’organizzazione dal 2005, ha giocato un ruolo centrale anche nei decenni precedenti, soprattutto in storiche vittorie legislative come il divieto di utilizzo in tutta l’Unione Europea delle gabbie di batteria per le galline ovaiole e dei recinti individuali per i vitelli. Accolto con favore dal pubblico e dalla stampa, Farmageddon è stato selezionato dal Times tra i migliori libri del 2014.