Renzi chiude il semestre UE italiano: poche parole e pochi fatti
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha pronunciato oggi, di fronte al Parlamento Europeo riunito in plenaria a Strasburgo, il discorso di chiusura del Semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea. Un’occasione per fare il punto su quanto è stato fatto dal nostro Paese e su quanto resta in eredità alla Lettonia, prossimo Stato designato alla carica (all’Italia toccherà nuovamente solo nel 2028!).
Un intervento piuttosto deludente, quello del Premier, il quale non ha per nulla fatto un bilancio dei sei mesi trascorsi. “Un’occasione perduta“, hanno commentato molti dei suoi colleghi. Visto che Renzi, di fronte ai pochissimi Eurodeputati presenti, non ha affrontato i veri contenuti del semestre, e in conferenza stampa i temi green non sono stati praticamente toccati, vediamo di fare un riassunto del periodo appena concluso.
In campo ambientale la Presidenza del nostro Paese è stata caratterizzata da tre grandi temi sui quali, per molti addetti ai lavori, l’Italia avrebbe potuto fare davvero la differenza: Il pacchetto Clima-Energia 2030, la direttiva sugli OGM e la messa al bando delle buste di plastica.
Partiamo da quest’ultima, forse l’unico vero risultato positivo della Presidenza italiana. Si tratta di un lavoro iniziato prima del semestre e portato a termine attraverso un lavoro ben coordinato con il Parlamento Europeo. Come abbiamo invece più volte sottolineato, il tema degli OGM è caratterizzato da luci ed ombre. Senza contare che nessun accordo è stato, invece, preso sul cosiddetto “Made In”. Il testo della Direttiva che prevedeva l’obbligo di indicare nell’etichetta l’origine dei prodotti non alimentari fabbricati nei Paesi terzi non ha, infatti, superato l’esame del Consiglio. Non è andata in porto nemmeno la nuova normativa sul biologico e l’Italia ha fallito anche sulle misure a favore dei giovani agricoltori.
Il dossier sicuramente più importante di questo semestre è la decisione sul Pacchetto Clima ed Energia per il 2030, sul quale la Presidenza italiana ha giocato un ruolo decisamente limitato e poco visibile, rimanendo preda del Consiglio Europeo, in seno al quale sono spesso le spinte dei Governi “fossili” ad avere la meglio. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un accordo modesto e timido per niente in grado di orientare le scelte ambientali mondiali. Non dimentichiamo, infatti, che grandi annunci erano stati fatti a proposito del fatto che il documento avrebbe dovuto trasformare l’Unione Europee nell’interlocutore più all’avanguardia in tema ambientale ai prossimi negoziati di Parigi sul clima!
Alla luce di queste considerazioni il semestre italiano appena finito non rimarrà di certo impresso nella storia dell’Unione Europa. Pochi risultati e nessun obiettivo importante raggiunto. Ad onore del vero, è necessario specificare che l’Italia ha scontato il fatto di essersi trovata a cavallo del rinnovo di Parlamento e Commissione oltre ad avere affrontato la pausa estiva (che riduce di fatto il semestre a 4 mesi e mezzo) e questo ha sicuramente comportato lunghi periodi d’inattività dal punto di vista legislativo. Tuttavia, quando si fanno bilanci deve per forza esistere un termine di paragone. Se questo non può essere l’operato di altri Paesi per evidenti difficoltà a comparare azioni politiche che si svolgono in differenti momenti della storia europea, quello che si può fare è vedere a luglio, all’inizio del semestre, quali obiettivi l’Italia si era prefissata, o per essere più diretti, quali erano state le promesse di Matteo Renzi.
In generale, in questi sei mesi si è registrato un calo progressivo di interesse europeo da parte del nostro Governo. Il Presidente del Consiglio era partito sparando fuochi d’artificio, il riferimento all’Odissea e ai padri fondatori dell’Europa unita. Gli attacchi alla burocrazia UE e l’ondata di rinnovamento. Tuttavia, non c’è stato alcun cambio di passo reale e realizzabile nelle priorità politiche europee. Nessuna fiscalità ecologica o cose rivoluzionarie di questo genere… Basta dare uno sguardo al programma di lavoro presentato dal Presidente della Commissione Juncker sempre e comunque condizionato dalle lobby industriali e finanziarie più reazionarie. Senza contare poi le annunciate sforbiciate ad una buona parte dei testi di legge in corso, perché bloccati. Categoria nella quale cadono una moltitudine di dossier ambientali fondamentali come quelli sull’economia circolare e sulla qualità dell’aria. Per tutti questi motivi si fa sempre più strada un marchio, quello di euro-populista, che ancora di più rischia di fare perdere credibilità e consenso a Renzi, sia in Europa sia in patria.
Beatrice Credi