Carlo Crisci: ecco come ho riportato le erbe selvatiche in cucina
Carlo Crisci è uno dei dieci migliori cuochi elvetici. 58 anni, nato in Svizzera da genitori italiani, lo chef è stato scelto quest’anno come padrino della Settimana del Gusto, che si è tenuta in tutto il Paese dal 18 al 28 settembre. A rendere speciali la sua cucina, oltre ai molti riconoscimenti ricevuti – tra questi, le due stelle Michelin per il suo ristorante Le Cerf, di Cossonay, vicino a Losanna –, è l’uso delle erbe spontanee, raccolte appositamente per il suo ristorante da due “coglitrici”, Nicole e Anne-Marie. “E’ stato come per un pittore scoprire nuovi colori. Le erbe selvatiche sono quanto di più bello ci offre il nostro territorio, e nello stesso tempo rappresentano anche qualcosa di molto esotico perché certi gusti sono stati completamente dimenticati. Non ne faccio un’ossessione, ma ci sono quasi sempre delle erbe nei miei piatti, alcune hanno addirittura sostituito altri ingredienti, ad esempio il geum comune ha preso il posto del chiodo di garofano”, ha spiegato Crisci in occasione della manifestazione. Lo chef sarà presente anche al Salone del Gusto per un laboratorio, lunedì 27 ottobre alle 12: proporrà tre piatti a base di erbe selvatiche e prodotti locali, accompagnati da altrettanti vini svizzeri.
D) Crisci, come ha iniziato a cucinare?
R) Mio papà quando partì dall’Italia faceva il calzolaio. Poi in Svizzera ha imparato a cucinare ed ha aperto un ristorante. La sua cucina era il risultato della sua storia: svizzera, ma con un tocco italiano. Era un contadino nell’animo, lavorava l’orto e produceva molto di quello che poi usava in cucina. Io ho iniziato a fare questo lavoro a 16 anni: all’inizio volevo fare il designer, ma il mio professore di disegno mi consigliò di imparare un mestiere sicuro prima di dedicarmi al lavoro artistico, in modo che se l’esperienza di designer fossa andata male avrei potuto rilevare il locale della mia famiglia. All’inizio però, non mi piacque molto: all’epoca la cucina era stabilizzata, classica, francese, rigorosa, anche se il mestiere permetteva di viaggiare un po’, e questo era positivo. Negli anni ’76-’77 poi è arrivata la Nouvelle cuisine, che ha dato la possibilità al cuoco di giocare con i prodotti, riflettere sul proprio lavoro. Questa cosa mi piacque molto: da lì in poi la cucina per me è diventata una passione.
D) Lei è molto conosciuto per l’utilizzo di erbe spontanee. Quando ha iniziato a introdurle nella sua cucina?
R) Le uso da 15 anni. Tutto è iniziato dall’incontro con Francois Couplan, etnobotanista conosciuto in tutto il mondo: è lui che ha formato i pochi cuochi che oggi lavorano con le piante selvatiche. Un giorno è venuto a mangiare da me e mi ha iniziato a questo mondo. Spesso le piante spontanee non sono conosciute: i nostri nonni le adoperavano, tutti le sapevano riconoscere. Oggi queste conoscenze sono scomparse. In questo senso, la mia è stata una riscoperta di qualcosa di molto antico. Poco tempo fa io e Couplan abbiamo abbiamo scritto insieme un libro, “Vertiges des Saveurs”: lui ha curato le schede tecniche delle piante e io le ricette con le piante selvatiche.
D) Che cosa le è piaciuto delle erbe spontanee?
R) Mi è piaciuto l’odore. Le erbe spontanee mi hanno dato altri colori, altri sapori da scoprire. Io ho fatto un solo apprendistato prima di cominciare a lavorare. Quello che so l’ho imparato con mio papà e poi da solo: ho sempre dovuto scoprire anche i prodotti classici, e per questo non ero spaventato da un prodotto nuovo come le erbe selvatiche. All’inizio è stato come esplorare un terreno sconosciuto.
D) Come è cambiata la gastronomia in questi anni? Oggi c’è molta attenzione verso questi temi, complice anche la tv, che ne pensa?
R) La gastronomia non è mai stata così importante per i media. Non si può accendere la tv senza vedere una cucina, che però spesso è lontana dalla realtà: i giovani quando vengono in una cucina che lavora normalmente prendono paura, perché quello che hanno visto in tv era completamente diverso. Nei programmi di cucina, poi, si viene sempre giudicati: e ormai anche il cliente fa lo stesso con i locali, non viene più a sperimentare il ristorante, ma a giudicarlo.
D) Il ridotto impatto ambientale e la salute sono due criteri da seguire per la cucina di domani?
R) Sì, la cucina di domani è quella semplice e sana, di cibi prodotti con rispetto e coscienza. Per esserci cucina e personalità, dai piatti deve trasparire la storia della persona. Deve esserci un rapporto stretto con l’agricoltore e il pescatore. Il prodotto è la base: senza un prodotto buono e sano, non si fa un buon piatto. Io ho imparato la cucina anche da mio nonno, che coltivava l’orto, e solo guardando gli ortaggi sapeva distinguerli per i diversi usi. Riusciva a capire subito il prodotto e questo oggi manca, anche se non bisogna dimenticare che anche la tecnica è importante, perché dà la possibilità di rispettare il prodotto. Più la cucina è semplice, forse più c’è tecnica dietro. E la cucina semplice dietro ha sempre molto lavoro che non si vede. Io faccio per esempio molti sughi di verdura: li riduco a soli 30 gradi, in modo che questa cottura a bassissima temperatura conservi tutte le sostanze termolabili.
Veronica Ulivieri