Agroecologia, storie di buone pratiche catalane
Disciplina scientifica, movimento, buona pratica. L’agroecologia è un approccio scientifico che nasce da due elementi principali: la gestione sostenibile delle risorse naturali e il cambiamento sociale. E’ oggi una delle risposte alle questioni in materia di agricoltura sostenibile, quali l’uso globale del territorio, il cambiamento climatico e la sovranità alimentare. E’, oltretutto, un modello scelto da numerosi contadini di seconda generazione, colti e consapevoli. Al Festival Alig’Art, chiusosi il 28 settembre a Cagliari, è stato pertanto dedicato un focus sulle protagoniste e i protagonisti di esperienze che pongono al centro della loro azione la necessità di una transizione nell’uso della Terra, ma anche nelle relazioni e nella cooperazione tra produttori e consumatori.
Tra gli ospiti presenti alla manifestazione un esempio di buone pratiche arriva dalla Catalogna. Jana Sambola Civit, dell’Associazione che riunisce i produttori dell’orto agroecologico La Saó (La Garrotxa-Catalogna) e Paula Fonollà Araujo, del gruppo d’acquisto agroecologico sempre della Garrotxa hanno raccontato a Greenews.info la loro esperienza e il loro piccolo successo nella produzione agricola.
D) Come è nato il vostro orto “agroecologico”?
JANA SAMBOLA CIVIT) La Saó, il nostro progetto di orto agroecologico è nato dall’unione di due esperienze produttive che lavoravano separatamente nella stessa regione. Dalla necessità di sommare gli sforzi, avere una migliore qualità di vita e accorpare e mettere in comune alcuni lavori che entrambi i gruppi sviluppavano (trasporto, partecipazione nelle reti…), abbiamo deciso di metterci insieme e creare un piccolo progetto. Tutto comunque è partito dal desiderio di produrre alimenti biologici per la popolazione locale e farlo attraverso un modello che potesse cambiare il funzionamento stabilito del modello produzione-consumo-commercializzazione, rendendo l’agricoltura e il mondo rurale vivo, sostenibile a lungo raggio.
D) Come funziona la produzione?
R) (JANA SAMBOLA CIVIT) Coltiviamo alcuni ortaggi e altri li compriamo da coltivazioni biologiche, prepariamo la terra in base alla necessità che richiede ciascun tipo di coltivazione, studiando l’irrigazione, il suolo, etc. etc. Prima realizziamo la programmazione delle coltivazioni “su carta”, calcolando le quantità da piantare, la superficie del campo da utilizzare i quadri di piantagione, varietà e risultati. Subito dopo iniziamo a piantare e portiamo a termine la gestione dell’orto. Alla fine commercializziamo le verdure, direttamente ai consumatori in cassette, mercati, negozi o Gruppi di Acquisto Solidali.
D) Produrre cibo in modo “sostenibile” non significa solo produrlo attraverso una gestione sostenibile della terra, ma ci sono altri fattori che ne determinano la sostenibilità. Quali sono, secondo voi, questi elementi?
R) (JANA SAMBOLA CIVIT) La rete tra consumatori, la commercializzazione diretta produttore-consumatore, la rete di collaborazione tra produttori, le nuove forme di relazione tra produzione e consumo, il recupero di semi autoctoni, la trasparenza delle informazioni sui processi di produzione e una buona comunicazione ai consumatori…Ecco, tutto questo!
D) Come può l’agricoltura urbana – definita come la produzione di casa o appezzamenti in aree urbane o periurbane – rappresentare un’opportunità per migliorare l’approvvigionamento alimentare, le condizioni di salute, l’economia locale, l’integrazione sociale e la sostenibilità?
R) (JANA SAMBOLA CIVIT) Per me non è tanto importante se questa agricoltura è urbana o periurbana, ma che tenga in considerazione i fattori sociali, economici, culturali e politici, al fine di non riproporre lo stesso sistema alimentare attualmente dominante. Se non cambiano questi fattori, ma cambia solo la produzione, l’agricoltura biologica (come succede attualmente con l’agricoltura convenzionale), non sarà sostenibile, perché il piccolo contadino non potrà vivere di questo.
D) Quale è stata la ragione che vi ha spinto, non essendo agricoltori, ad avvicinarvi alla terra e abbandonare il mondo urbano?
R) (PAULA FONOLLÀ ARAUJO) In un primo momento uscire da un modello di vita basato sullo stress, la disconnessione con la natura e il consumismo. Abbiamo rivalutato il mondo rurale come motore di una economia locale, rispettosa dell’ambiente e capace di gestire il territorio.
D) L’agroecologia può essere uno strumento per affrontare molte situazioni paradossali nella società di oggi, per esempio le due facce della malnutrizione (sovrappeso e insicurezza alimentare), sovrapproduzione e spreco alimentare, cambi climatici e distruzione delle risorse naturali?
R) (PAULA FONOLLÀ ARAUJO) L’agroecologia può essere considerata da prospettive diverse. Da un punto di vista ecologico, l’agroecologia propone una gestione di agroecosistemi con una prospettiva di sostenibilità. In altre parole, una gestione che sia rispettoso dell’ambiente e delle risorse naturali. Al tempo stesso, presenta diverse soluzioni per i sistemi agro-alimentari basati su un’economia sostenibile, solidale e del bene comune.
D) Quale è il ruolo dei consumatori per costruire un paradigma differente sulla questione alimentare?
R) (PAULA FONOLLÀ ARAUJO) Il ruolo del consumatore è quello di diventare consapevole e fare scelte consapevoli in relazione ai propri consumi in una prospettiva di trasformazione sociale. In modo che “mangiare locale”, agroecologico e di stagione possa avere un forte impatto sull’economia locale della zona. Penso che l’azione collettiva di un gruppo di consumatori consapevoli verso un consumo agroecologico dal punto di vista ambientale, sociale e politico possa avere una grande ripercussione locale. E che la somma di molte azioni locali per il cambiamento nel modello agroalimentare locale possano portare a una trasformazione più globale.
Francesca Fradelloni