Cresce la rete stradale mondiale: la sfida è conciliare infrastrutture e ambiente. A partire dalla Cina
Treno veloce Shanghai-Beijing. Cinque ore e mezzo di viaggio e 1.300 chilometri di rotaie. Per tutto il tragitto scorre dal finestrino il sistema ferroviario e stradale a più rapido sviluppo del mondo. E lungo il percorso palazzi in costruzione, nuovi centri commerciali, periferie infinite.
La crescita della Cina passa per le vie di comunicazione: strade e nuove ferrovie servono a connettere le grandi città e i centri di produzione, spostare merci e alimenti da una parte all’altra del paese, portare prodotti ovunque possano essere acquistati. Nel 2004 la rete stradale cinese era lunga 1,8 milioni di chilometri; nel 2012 si era già arrivati a 4,2 milioni. E un aumento simile si è avuto anche per le strade nazionali ad alta velocità: passate dei 41.000 chilometri del 2005, ai 74.000 del 2010 fino ad arrivare a 104.000 alla fine dello scorso anno.
Una crescita, quella Repubblica Popolare Cinese, che si inserisce in un ampio movimento globale: gli esperti prevedono che da oggi al 2050 nel mondo si costruiranno 25 milioni di chilometri di nuove strade. Coprendo una distanza simile si potrebbe fare il giro della Terra seicento volte. E il 90% di queste nuove infrastrutture nascerà in paesi in via di sviluppo. Gli Stati Uniti hanno ancora la rete stradale più ampia al mondo, ma subito dietro avanzano – nell’ordine – Cina, India, Brasile e Russia, nuovi giganti dell’economia globale che hanno fame di crescita e di mercato. E che con queste prospettive di cementificazione e asfaltatura minacciano ambiente ed ecosistemi.
Come ha sottolineato un recente studio pubblicato su Nature (A global strategy for road building, sulla Global Road Map, Agosto 2014), queste nuove strade penetreranno in zone fino ad oggi non costruite, spaccheranno habitat naturali, taglieranno foreste e bucheranno montagne. Se questo ulteriore sviluppo venisse lasciato all’attuale stato caotico e poco pianificato i danni sarebbero gravi. Per questo il team internazionale di ricerca propone uno sguardo d’insieme, una roadmap globale che massimizzi i benefici dati dalle vie di comunicazione senza pesare più del necessario sull’ambiente. Come hanno spiegato gli autori dello studio, le nuove strade possono essere utilissime per l’agricoltura: davanti a una domanda globale di cibo destinata a raddoppiare da qui alla metà di questo secolo, una rete stradale più efficiente e ramificata può aiutare l’approvvigionamento dei coltivatori, migliorare la distribuzione degli alimenti e ridurre costi e sprechi.
Con l’obiettivo di capire come e dove converrà costruire nuove strade, i ricercatori hanno creato due mappe del globo: la prima evidenzia le aree che meritano maggiore protezione perché ospitano delicati ecosistemi o perché già particolarmente sfruttate; la seconda mostra le aeree dove la presenza di nuove strade porterebbe maggiori benefici all’agricoltura e agli uomini che ci abitano. Sovrapponendo questi dati si ottiene un quadro che potrebbe guidare la pianificazione stradale nei prossimi decenni. Così emerge che l’Est Europa e l’Asia occidentale, l’America Centrale e la costa atlantica del Sudamerica hanno un grande potenziale di crescita con la possibilità di mantenere un impatto ambientale relativamente basso. Mentre la già violentata Amazzonia, il sud-est asiatico e aree più isolare come il Madagascar andrebbero conservate e toccate il meno possibile.
Ancora una volta, sarà la Cina uno degli attori da osservare con più attenzione: il Paese è diviso tra l’obiettivo di raggiungere i 5,8 milioni di chilometri di rete stradale nei prossimi quindici anni e la necessità di mettere la protezione ambientale in cima alle proprie priorità. Come ha da poco dichiarato il professor Huang Haifeng dell’HSBC Business School di Pechino, “il prossimo piano economico quinquennale (2016-2020) vedrà una rapida crescita della green economy cinese. (…) Dopo anni di inquinamento e disastri ambientali, ora è d’obbligo fare un po’ di pulizia”. Dato che né la Cina né il resto del mondo sembrano essere capaci di abbandonare la via della crescita ad ogni costo, saranno obbligati – e in tempi brevi – a trovare un nuovo e difficile equilibrio fra lo sviluppo, la sicurezza alimentare e la salvaguardia del pianeta.
Matteo Acmè