Ugo Morelli: “In Italia nessuna educazione al paesaggio, l’articolo 9 è lettera morta”
Ugo Morelli, professore di Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione e di Psicologia della Creatività e dell’Innovazione, da tempo studia il rapporto tra l’uomo e il paesaggio, e il ruolo che l’educazione ha nel formarsi di un’appropriata coscienza del territorio. Nel nostro Paese, spiega lo scienziato, c’è un legame diretto “tra la disattenzione e la non applicazione dell’articolo 9 della Costituzione sulla protezione del nostro patrimonio artistico e paesaggistico” e la prassi di quotidiana distruzione del territorio. A cui corrisponde “una disattenzione sul modo in cui il tema viene trattato nell’ambito delle attività educative”. La riforma della scuola presentata in questi giorni dal premier Matteo Renzi non apre, secondo Morelli, prospettive positive: “Non si tratta di introdurre a scuola l’ora di paesaggio: sarebbe scellerato. È piuttosto una questione di metodo e riguarda complessivamente il sistema educativo: si tratta cioè di insegnare le diverse materie tenendo conto della grande svolta epocale a cui siamo di fronte”. Lo studioso sarà ospite il 21 settembre de “I Maestri del Paesaggio – International Meeting of the Landscape and Garden”, che si apre domani a Bergamo. Per due settimane, eventi itineranti, seminari, workshop, appuntamenti culturali e enogastronomici, mostre, aperitivi del paesaggio e concorsi offriranno numerosi spunti di riflessione sul del paesaggio (tema di quest’anno è il verde come fonte di benessere). Molti gli ospiti prestigiosi: oltre a Morelli, saranno presenti noti paesaggisti, garden designer e architetti del paesaggio, come Stig L. Andresson, Fergus Garrett, Marco Bay, Pablo Georgieff, Mikyoung Kim, Luciano Giubbilei, Ulf Nordfjell.
D) Professor Morelli, il libro “Paesaggio lingua madre”, che ha curato insieme a Gianluca Cepollaro, è dedicato all’educazione al paesaggio. Come si può costruire una coscienza sul territorio e cosa è mancato finora nella scuola italiana?
R) In Italia è mancato quasi tutto. C’è una corrispondenza biunivoca e problematica tra la disattenzione e la non applicazione dell’articolo 9 della Costituzione sulla protezione del nostro patrimonio artistico e paesaggistico – articolo che tutto il mondo ci invidia, ma che spesso qui si riduce solo a tre righe scritte sulla carta – e la prassi reale del modo in cui ci siamo occupati, con orientamento distruttivo, del rapporto tra paesaggio, ambiente e territorio. Prassi a cui corrisponde anche una disattenzione sul modo in cui il tema viene trattato nell’ambito delle attività educative. Il moralismo dell’ideologia da ecologista della domenica e dell’ideologia del naturale non ha aiutato a creare un’appropriata cultura del paesaggio.
D) Pensa che la mancata educazione al rispetto del paesaggio sia alla base della deturpazione dell’ambiente in Italia?
R) Sicuramente noi come cittadini abbiamo la nostra responsabilità individuale, ma non bisogna eccedere: ci sono il malaffare, il patto scellerato tra quest’ultimo e lo stato, i poteri deviati. Chi ha più potere ha più responsabilità. Non bisogna trascurare che al governo locale e nazionale si è sempre verificato un deliberato processo di disapplicazione della normativa e dell’articolo 9 della Costituzione sulla tutela del nostro patrimonio artistico e paesaggistico. Anche in questo periodo il governo continua a insistere con la retorica della ripresa e lo fa puntando ancora sull’edilizia, senza contare che negli ultimi anni sono stati costruiti 33 vani ogni nuovo nato e che il 61% delle nuove costruzioni è rimasto invenduto!
D) In questi giorni è stata presentata dal premier Renzi la riforma della scuola. Le sembra ci sia l’intenzione di accogliere l’educazione al paesaggio tra i pilastri di un nuovo sistema educativo?
R) Non mi sembra ci sia una grande attenzione alla questione. Inoltre, non si tratta di introdurre a scuola l’ora di paesaggio: sarebbe scellerato. È piuttosto una questione di metodo e riguarda complessivamente il sistema educativo: si tratta cioè di insegnare le diverse materie tenendo conto della grande svolta epocale a cui siamo di fronte. A Storia, invece di partire dai garibaldini o dal Concilio di Trento, bisogna insegnare che l’uomo è apparso sulla terra 6,8 milioni di anni fa, in un pianeta che ha 4,5 miliardi di anni. A Scienze Naturali bisogna lavorare sulla finitudine delle risorse disponibili. Se invece ai bambini si insegna il dialetto e ci si concentra solo sui prodotti tipici del territorio, non si va da nessuna parte. Purtroppo reagiamo alla globalizzazione con rinculi localistici: Ernesto De Martino, il celebre antropologo, ha detto che solo chi ha un villaggio nel cuore ha la possibilità di misurarsi ed esprimere col mondo. Quel villaggio può divenire anche una gabbia, ma se riesce a trasformarsi in una base sicura, può generare esperienze emancipative di particolare rilevanza. Il problema, in sintesi, è come ci giochiamo l’appartenenza.
Veronica Ulivieri
Leggi la seconda parte dell’intervista nella sezione Tuttogreen di LaStampa.it