Grigliata di ferragosto: occhio all’impatto della carne
La carne è uno degli alimenti con conseguenze ambientali più pesanti. Il principale problema è il suo eccessivo consumo nelle nostre diete. In Paesi come l’Italia o gli Stati Uniti, il consumo è elevato ma relativamente stabile da qualche anno: rispettivamente 87 e 122 chili di carne consumata in media annualmente. In Paesi come Cina e India sta diventando una delle principali fonti di proteine animali.
Il ciclo di produzione fonda le proprie radici sulle immense distese di mais e soia disseminate su tutta la superficie del pianeta, indispensabili per nutrire, in maniera più veloce ed economica possibile, la moltitudine di animali continuamente richiesti dal mercato. Sterminati campi di mais e soia occupano ormai l’80% delle terre coltivate, mentre solo l’8% è dedicato all’alimentazione umana. Le monocolture hanno la caratteristica di rendere meno resiliente il terreno, rendendolo cioè meno capace di ristabilire l’equilibrio dell’ecosistema preesistente agli shock esterni. Per sopravvivere, le monocolture necessitano di pesticidi, erbicidi e fertilizzanti azotati, principali cause di inquinamento del terreno, delle falde acquifere e dell’atmosfera.
I cocktail di mais e soia vengono arricchiti con ingenti quantità di antibiotici: il 70% degli antibiotici prodotti negli USA viene destinato a questo scopo. Questi ultimi vengono aggiunti perché negli allevamenti intensivi, l’innaturale affollamento di animali è la principale causa di trasmissione di malattie; ma soprattutto perché, inspiegabilmente, gli antibiotici accelerano enormemente la crescita degli animali, diminuendo tempi e costi di “produzione” della carne.
Secondo il rapporto Meat Atlas del gennaio 2014, i principali produttori di carne sono un pugno di aziende multinazionali che controllano tutto il ciclo di produzione, dalle monocolture alla distribuzione finale. Sul podio troviamo la JBS brasiliana, e le americane Tyson Foods e Cargill. La JBS è responsabile della macellazione quotidiana di 85.000 capi di bestiame, 70.000 maiali e 12 milioni di uccelli, per un fatturato annuo che supera il 38 miliardi di dollari. Dopo la produzione, c’è il trasporto per la distribuzione. Gli animali vengono trasportati sia dall’allevamento al macello, che dal macello ai punti di distribuzione finale. E’ stimato che nella sola Europa circolino su gomma più di 50.000 animali ogni giorno. Questo traffico è responsabile dell’emissione in atmosfera di 992.3 milioni di tonnellate di CO2 annue (rapporto LAV).
In conseguenza delle dimensioni della produzione e del consumo di carne globale, vaste popolazioni del Sud del mondo si vedono private delle terre precedentemente utilizzate per il consumo familiare, in quanto destinate alla produzione di soia e cereali per il mercato della carne. Secondo il Rapporto Stern del 2006, queste popolazioni, sparse su tutto il globo dall’Africa all’Asia, sono le stesse che subiranno prima ed in maniera più grave le conseguenze del cambiamento climatico quali: maggiore incidenza di eventi climatici catastrofici, innalzamento delle temperature e del livello del mare (si pensi all’esempio emblematico del Bangladesh). Complessivamente, secondo il rapporto LAV (Lega Anti-Vivisezione 2012) il mercato della carne è responsabile del 21% delle emissioni di CO2, del 72% delle emissioni di CH4 e del 65% dell’NO2. È anche responsabile dello spreco di enormi quantità di acqua potabile: l’impronta idrica di un chilo di carne di manzo è pari a 15.500 litri, secondo il BCFN (Barilla Center for Food & Nutrition).
L’agricoltura e l’allevamento intensivi, oltre ad essere fra le prime cause di inquinamento, saranno anche le prime vittime del cambiamento climatico. Se fossero gestite in maniera tradizionale, principalmente per il consumo interno, potrebbero rivelarsi tra le principali fonti di cattura della CO2 (principalmente per mezzo della biodiversità locale, per ottenere un terreno sano da sfruttare come potente carbon sink), diventando così parte della soluzione del problema. L’allevamento intensivo e l’agricoltura meccanizzata, figlie della “Rivoluzione Verde” (nome fuorviante), sono passate dal voler essere la soluzione al problema della fame del mondo, ad esserne una delle principali cause.
Alla domanda “la carne è davvero un alimento indispensabile per la salute?” è difficile rispondere. Certo è che ai livelli di produzione e consumo attuali, l’abuso di carne è una piaga per il pianeta. Nella diffusione di stili di vita più salubri, come la dieta mediterranea, che contempla il consumo di carne non più di due volte alla settimana, e di pratiche di produzione meno impattanti, stanno le radici di un futuro più sano per noi, per gli animali e per il pianeta.
Marco Ciot