Lorenza Zambon, attrice-giardiniera: “la natura sarà salvata dagli innamorati”
Questa sera a Cittadella, nell’ambito della rassegna Arte in terra – serate estive in Villa Negri, proporrà, accanto all’orto recuperato di recente da un gruppo di volontari, i primi due spettacoli della sua trilogia “Lezioni di giardinaggio planetario”. La “terza lezione”, che documenta invece le storie di chi ha scelto di coltivare un orto o un giardino per contribuire a salvare il pianeta, andrà in scena venerdì 18 luglio nelle colline a Monfumo, nell’ambito di Vacanze dell’anima, rassegna che dal 12 al 20 luglio nella Marca Trevigiana parlerà di sostenibilità come approccio globale alla vita (apertura con Petrini, fondatore di Slow Food, per avviare la riflessione su agricoltura e bioeconomia). Va in scena in luoghi che non ti aspetti – un orto, un bosco, un prato, Lorenza Zambon, l’attrice-giardiniera, padovana di nascita, astigiana d’adozione, che ha dato vita a un esperimento di ibridazione del teatro con la sua passione maniacale per piante, giardini, paesaggi: il Teatro Natura. Un teatro fuori dal teatro, una linea di ricerca personalissima per far emergere il “genio del luogo” e con esso l’amore per la natura, talvolta inconsapevole, altre nascosto, del suo pubblico. La sua arte è tutt’uno con la sua vita, totale, emozionale, militante. Da quando, a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, ha avviato, insieme ai suoi compagni di viaggio, in una collina del Monferrato una casa-laboratorio teatrale, la Casa degli Alfieri, primo esempio di co-housing in Italia quando ancora questa pratica non si chiamava così, a quando, nel 1999, ha iniziato la sua ricerca artistica centrata sulla relazione fra gli uomini e il loro ambiente e, soprattutto sul modo per riattivare questo rapporto quand’è disequilibrato.
D) Lorenza, il teatro può davvero aiutare a trasmettere messaggi di sostenibilità ambientale?
R) Credo che il teatro debba avere un obiettivo più alto, ossia creare l’amore per la natura, spostare il punto di vista dalla natura curata da noi, modificata da noi, distrutta da noi, alla natura in sé. L’arte deve far connettere prima di tutto con la rete della vita e lo fa in modo emozionale e immediato grazie alla relazione che si crea tra attore, pubblico e, nel mio caso, anche un terzo protagonista, il paesaggio naturale. “Giardinaggio planetario” significa prima di tutto occuparsi della natura. Poi, ristabilita la connessione tra uomo e ambiente, si può parlare di orti urbani, di guerrilla gardening, di Vandana Shiva, di OGM. E così si avvia un processo di cambio di sguardo nei confronti della natura, lo capisco dagli occhi della gente.
D) Dalla sua esperienza ultradecennale, oggi rispetto al passato c’è più “bisogno” di natura da parte del pubblico?
R) Quando nel 1999 ho iniziato a cimentarmi negli spettacoli di natura sapevo che era un terreno da dissodare, ma ero anche consapevole che sarebbe esploso sia come bisogno personale, sia come coscienza ecologica. È ciò che è avvenuto, e lo è sempre di più.
D) Nei titoli e nelle recensioni dei suoi spettacoli si trovano spesso parole tipo “giardinieri anonimi rivoluzionari” (la prima lezione di “Giardinaggio planetario”), “azioni rivoluzionarie”, “ispirazioni o meglio istigazioni”. Chi è il suo pubblico e che rivoluzione si aspetta dai suoi spettacoli?
R) Il mio teatro è interclassista, il bello del tema del giardinaggio è che è un grimaldello che va bene per dialogare con ogni pubblico. Mi esibisco a Orticola a Milano così come nei centri sociali, a mostre-mercato di giardinaggio come a lezioni di paesaggio tenute da famosi urbanisti. Credo che semplicemente il pubblico si attenda di esplorare, attraverso le storie dei miei maestri giardinieri, personaggi da cui io stessa ho imparato, il proprio rapporto con la natura.
D) La sua terza “lezione” ha come sottotitolo “Semi di futuro” e la presentazione inneggia a “complici di semi liberi”. In questo periodo c’è un gran parlare, a livello europeo e locale, di OGM, semi brevettati e conciati. Cosa ne pensa della questione dei semi?
R) Penso che la lotta per i semi liberi sarà dura ma vinceremo, perché quando una cosa è forte e giusta non si può fermare. I semi OGM sono progettati da poche multinazionali per produrre monoculture, non si evolvono se non rispetto a una mera logica di mercato. Al di là di questa mia verve militante, nei miei spettacoli mi soffermo sulla parte più poetica ed emozionale del seme. Una botanica un giorno mi disse che un seme è una piccolissima astronave, una capsula perfetta per navigare nello spazio e nel tempo. Mi ispiro all’insegnamento di Vandana Shiva, un seme libero in ogni casa. E questo può produrlo ciascuno di noi, anche se non ha un giardino ma un piccolo balcone.
D) Lei è definita attrice-giardiniera. Di come l’amore per la natura abbia inciso nel suo teatro lo abbiamo visto, ma come e quanto incide nella sua vita privata? Oltre che “planetario”, il suo giardinaggio ha un lato anche “domestico”?
R) C’è una parte di giardinaggio fisico molto importante e la mia attività artistica è nata proprio da questa. Da oltre vent’anni nel nostro “condominio”, la Casa degli Alfieri, abbiamo lavorato per ricreare un giardino in un luogo “ingerbidito”, come si dice da queste parti, incolto. Gli insegnamenti che racconto, le “lezioni”, sono prima di tutto quelli che ho imparato io nel tempo, con piccoli e grandi esperimenti personali di giardinaggio, a volte riusciti, altre no. Secondo me è il giardino che coltiva il giardiniere, non il contrario. Tuttavia non cerco uno stacco tra lavoro e privato, per fortuna le mie passioni e il mio lavoro sono la stessa cosa. Il nostro giardino è un luogo comune, un convivium frequentato da molte persone. Ma quando sono a casa mi piace fare la passeggiata notturna da sola o con mio marito in giardino per vedere le lucciole o nelle sere di luna piena per guardare il paesaggio circostante al chiaro di luna.
Alessandra Sgarbossa