VeloLove: la bici simbolo della trasformazione, tra ritardi e bike economy
“VeloLove è una manifestazione e una festa che porta in piazza una cittadinanza intelligente”, dice Alberto Fiorillo, responsabile Aree Urbane di Legambiente. Il 14 giugno scenderanno per le strade della capitale ciclisti urbani, appassionati e sportivi; ma anche chi si muove a piedi; chi sceglie i mezzi pubblici o il monopattino; chi sceglie a favore di una città smart, accogliente e vivibile.
“Sarà in piazza la voglia e l’esigenza di una mobilità alternativa, che va ben oltre l’amore per le due ruote. Esiste una domanda ad oggi ancora assolutamente insoddisfatta, che è quella di una mobilità diversa da quella motorizzata, dal modello di trasporto vecchio in cui non ci si riconosce più”.
La bicicletta è diventata simbolo (e moda) di una trasformazione, di un movimento che pedala e propone e si fa sentire. E soprattutto pretende ascolto e riconoscimento, perché non si può continuare a ignorare una massa, critica. “Si continua a parlare di nicchia, ma i numeri fotografano una realtà decisamente diversa, continua Fiorillo. Sono cinque milioni nello stivale le persone che usano la bici quotidianamente; se consideriamo anche le persone che la prendono per sport, nel week end o nel tempo libero, il numero di alza a 14 milioni complessivamente”. Numeri importanti.
Sarà proprio questa la realtà che scenderà in piazza sabato, per mettere in rete le esperienze virtuose realizzate a livello nazionale (bicibus, piedibus, cargo bike, bike to work), per ritrovarsi attorno ad un calendario poliedrico di incontri (sono previsti, per citarne alcuni, un Tweed Ride Picnic con bici vintage e abbigliamento stile belle époque; un torneo di Cycle Polo, la variante sull’erba del Bike Polo e una sfida underground internazionale per scattofisso senza freni), ma soprattutto per rinnovare la richiesta di un impegno politico più concreto, deciso e decisivo. “La bicicletta sta crescendo”, commenta il referente di Legambiente, promotore della manifestazione insieme a #Salvaiciclisti, Rete Mobilità Nuova, Legambiente e Ciclonauti, “nonostante le politiche delle amministrazioni locali e del governo centrale, che in pochi casi sostengono una mobilità intelligente, anzi quasi sempre la disincentivano. Nonostante questo la crescita è evidente, e spontanea”.
Proprio per rilanciare un messaggio a decisori e amministratori, sono due gli appuntamenti clou della giornata: alla mattina “30 piazze per 30 all’ora”, con un gruppo di 30 ciclisti che partirà da Piazza San Silvestro (bike square) e percorrerà 30 piazze del centro storico indossando maglie col simbolo del limite di velocità a 30kmh; e nel primo pomeriggio partirà da piazza del Popolo la manifestazione “30 e lode” per sottolineare la necessità non solo dell’introduzione dei 30 orari sulle strade urbane (eccezion fatta per le principali arterie di scorrimento), ma anche per rimarcare la forte domanda popolare di azioni che favoriscano un nuovo stile di mobilità. La richiesta di abbassare la velocità nei centri urbani risale al Manifesto in 8 punti siglato da #Salvaiciclisti nel febbraio 2012, a cui ha seguito, il 3 settembre dello stesso anno, una petizione on line che ha raccolto migliaia di adesioni: la proposta è in Parlamento e sui banchi del Governo, e ancora, lentamente, se ne sta discutendo.
Una lentezza che non rispecchia minimamente la volontà e i processi di chi con la bici si muove per strada, e sono di nuovo i numeri a parlare. Euromobility, Associazione Mobility Manager, ha pubblicato i dati 2012 sulla mobilità (analisi svolta su 50 città italiane tra capoluoghi e città con più di 100mila abitanti) e quelli sui bike sharing sono chiarissimi. Complessivamente in Italia si è registrato un aumento degli utenti del 19% e delle biciclette a disposizione del 41%; Milano, Brescia, Venezia e Torino sono state le città più impegnate. Milano, sempre secondo i dati Euromobility, nel 2012 ha aggiunto mille nuove bici alle 1.800 che aveva già in circolazione, per un utenza che contava 16.658 tesserati. Torino vanta il numero più alto di utenti (18.000), pur avendo avviato il servizio un anno dopo il capoluogo lombardo, a fronte di 640 bici. Brescia registra 8.500 utenti per 300 bici e Venezia 643 su 150 bici. Grande flop a Genova che è scesa dai 300 tesserati del 2009 ai 50 del 2012 e a Prato che dei 160 utenti del 2009 ne ha rinnovati solo 33 nel 2012. Per quanto riguarda le piste ciclabili, la regione Emilia Romagna si aggiudica il podio con Reggio Emilia, Modena e Forlì.
A Torino altro merito per il portale www.bunet.torino.it (bunet oltre a ricordare il tipico dolce piemontese sta per Bike’s Urban Network in Torino), il primo servizio in Italia di infomobilità ciclabile creato su misura per un comune. Si inserisce punto di partenza e quello di arrivo e viene calcolato il percorso più veloce, quello più sicuro (con più piste ciclabili e meno traffico) e quello meno faticoso o con meno pendenza, in città e provincia. Il portale, ancora migliorabile, è open source e i cittadini possono segnalare commenti e consigli scrivendo all’indirizzo info@bunet.torino.it.
Ma è vero, forse sono le iniziative informali e ufficiose quelle che davvero rendono l’idea del processo che è in corso, del cambiamento di tendenza a livello culturale e di comportamento. Nel quotidiano le persone decidono di organizzarsi per spostarsi in bici per andare a scuola e a lavoro.
Bike to school è un’iniziativa spontanea ormai avviata a Roma, Milano, Genova, Napoli, Bologna, Torino, Trieste. I genitori si coordinano in gruppo, individuano un itinerario e il coordinamento cittadino li accompagna nella sperimentazione. Sono poche le regole da seguire (oltre al buon senso!): l’adulto sta a sinistra con due bambini a destra, 3 genitori aprono la carovana davanti e 3 la chiudono dietro; i vestiti devono essere coloratissimi e fosforescenti, si suonano i campanelli per segnalare il passaggio e l’arrivo a scuola e si rispetta la segnaletica sempre. Il coordinamento mappa i percorsi organizzati che vengono caricati sui siti locali e messi a disposizione dei genitori. A che punto siamo? “Se parliamo di Roma”, commenta Anna Becchi, “le scuole che hanno partecipato sono una quarantina e i percorsi sono circa un paio per scuola quindi un’ottantina almeno. Per quanto riguarda i partecipanti dobbiamo fare un calcolo di massima, in media 15 a percorso. Per tutto l’anno scolastico ogni mese abbiamo organizzato un evento (l’ultimo venerdì del mese) ma alcuni percorsi (circa 5) sono stati fatti ogni settimana, circa una volta a settimana, per circa 3 mesi”. Così ci si abitua a pedalare fin da piccoli.
Lo scorso 8 maggio è stata invece la giornata dedicata a chi va a lavoro in bicicletta, il Bike to work day. E c’è qualche iniziativa che mette in rete i lavoratori e le lavoratrici sulle due ruote. Se in Svizzera prende il nome Bike to work anche un concorso a premi che conteggia i km complessivi percorsi dai dipendenti delle aziende iscritte, il progetto Cicli Aziendali è tutto italiano. È un’iniziativa finanziata dalla Regione Lombardia per inserire anche i temi della mobilità nella Responsabilità Sociale di Impresa, e ha previsto l’acquisizione e la gestione di una flotta aziendale di bici e una serie di attività sia ludiche che formative tese a stimolare e incoraggiare l’utilizzo delle bici da parte dei dipendenti e collaboratori dell’azienda, soprattutto nei percorsi casa-lavoro. L’azienda che ha sperimentato la proposta è stata Terre di mezzo editore, i cui venti dipendenti hanno registrato quotidianamente le loro corse sul portale Cicliaziendali.it per sei mesi: hanno pedalato 3.275,9 Km, bruciato 31.396 calorie e risparmiato 491 kg. di CO2 . I dati sono utili per approfondire il tema e la proposta, anche politica, visto che in diversi paesi europei esistono programmi di sgravi fiscali per le aziende che aiutano i propri dipendenti a comprare belle bici, ben lontani dal vecchio concetto dell’automobile aziendale e convinti che la qualità della vita, anche della mobilità, possa influire sulla qualità del lavoro e quindi della produzione.
Ne sono abbastanza convinti anche i torinesi che sono stati intervistati dall’associazione Bike Pride per capire se “aveva senso” organizzare l’edizione 2014 della manifestazione popolare che lo scorso anno ha portato fra le strade della città circa 30.000 cittadini in bicicletta, una partecipazione che non ha eguali in tutta Italia. “Il 47% degli intervistati, si legge sul comunicato stampa- ha proposto di organizzare un Bike Pride di protesta, mentre un 36% propone sempre una versione festosa ma consapevole che quest’amministrazione ascolta senza far nulla. Solo un 8% propone di non pedalare per protesta. Gli ottimisti sono solo il 9%: per questo campione l’Amministrazione ha fatto dei passi in avanti”.
E sarà proprio il Bike Pride di Torino, fissato per il 21 settembre sul tema della bike economy, la prossima tappa della VeloLove.
Alfonsa Sabatino