Frodi nel biologico: la trasparenza della filiera internazionale per vincere la “Green War”
Non c’è pace nel settore del biologico. Dopo la maxi operazione “Gatto con gli Stivali”, l’anno scorso, è stata la volta di “Green War”, condotta dall’Ispettorato Centrale Repressione Frodi dei Prodotti Agroalimentari e dalla Guardia di Finanza di Pesaro sul giro di importazione di granaglie di produzione ucraina e moldava via Malta. Ultima parte dell’offensiva, “Vertical Bio”, che si è concentrata sulle importazioni anche da Kazakistan e Romania. Prodotti organici falsi, coltivati con metodo convenzionale e poi fatti passare per biologici attraverso finte certificazioni. Il tutto con l’intervento anche di operatori italiani attivi nell’Est Europa.
Per i consumatori, il danno causato da queste truffe è difficilmente rimediabile. Prima della conclusione delle indagini, infatti, le partite di prodotti contraffatti sono rimaste sul mercato. “Non si dovrebbe aspettare la chiusura delle indagini per togliere dal mercato le merci sospette, che nel frattempo sono state acquistate da aziende in buona fede”, denuncia Fabrizio Piva, ad di Ccpb, uno dei maggiori enti di certificazione del biologico in Italia. Le autorità hanno sequestrato migliaia di tonnellate di soia, mais, lino e olio di colza. Molte altre erano già state immesse nell’industria agroalimentare sotto forma di mangimi e prodotti per le produzioni alimentari. E anche per gli operatori onesti, il danno d’immagine è innegabile.
Se la truffa sembra oggi bloccata, nella vicenda ci sono ancora elementi poco chiari. A partire, secondo Federbio, dal ruolo del Ministero delle Politiche Agricole. “Già a inizio 2012 e più volte durante l’anno avevamo segnalato la presenza di documenti falsi e comportamenti sospetti di alcuni operatori, tra cui l’organismo di certificazione Biozoo in Moldavia. Nell’estate dello stesso anno, visto che il Ministero continuava a non considerare le nostre segnalazioni, abbiamo messo in guardia direttamente le aziende del nostro sistema dall’acquisto di quei prodotti”, spiega il presidente di Federbio Paolo Carnemolla. La responsabilità principale del dicastero “è di non aver chiuso, ma anzi confermato con le autorizzazioni all’importazione i canali dell’Est Europa”.
Nel frattempo il sistema di commercio estero di materie prime biologiche è cambiato: non servono più autorizzazioni ministeriali, ma certificazioni rilasciate nel Paese d’origine dei prodotti da organismi di controllo riconosciuti dall’Unione Europea. Nuove regole che però, continua Carnemolla, “non miglioreranno la situazione, perché i certificati in ogni caso si possono sempre falsificare”.
Dunque, che fare? Visto che le importazioni, ragiona Piva, “rimangono l’ambito dove ci sono le maggiori criticità, perché non è possibile tracciare un legame diretto tra le quantità importate e le aziende, con la loro capacità produttiva”, bisogna agire sulla filiera, rendendola più trasparente. “Collegando i carichi che arrivano via nave con le superfici che hanno reso possibile quella produzione, si capisce facilmente se c’è qualcosa di sospetto”.
L’antidoto, dunque, è svelare la filiera. “Anche secondo il giudice è necessario che ci sia tracciabilità e che vengano monitorate tutte le transazioni”, spiega Carnemolla. E se in Italia una piattaforma ministeriale per la tracciabilità del biologico ancora non c’è, Federbio ha lanciato ad aprile scorso la sua Integrity Platform in grado di gestire le superfici e la tracciabilità delle produzioni e delle transazioni per le materie prime biologiche per mangimi, cereali e granaglie. Dopo il periodo di test operativo che si concluderà a maggio, il sistema sarà pronto per essere utilizzato, e permetterà di tracciare una vera e propria mappa delle relazioni commerciali tra le aziende italiane e i propri fornitori esteri.
Proprio la trasparenza sarà uno dei grandi temi dell’edizione 2014 di Biofach, la più grande fiera europea di biologico che si apre il 12 febbraio a Norimberga. Gli operatori italiani presenti saranno 35, tra cui lo stesso Ccpb, diverse aziende agricole e marchi storici. L’intento è dimostrare che, nonostante le truffe imputabili a pochi soggetti scorretti, del biologico italiano ci si può fidare.
Veronica Ulivieri