Conferenza sul Clima di Varsavia: alcuni progressi, ma mancano gli impegni
Si è conclusa sabato, con un giorno di ritardo, la diciannovesima Conferenza delle Parti (COP19), a Varsavia: dopo 2 settimane di lavori, gli Stati hanno approvato alcuni importanti documenti per raggiungere un trattato globale sui cambiamenti climatici. L’obiettivo è quello di arrivare a siglare nella Conferenza di Parigi in programma per il 2015 (COP21) un protocollo legalmente vincolante che distribuisca in modo equo tra gli Stati gli impegni di riduzione delle emissioni di CO2 e altri gas serra responsabili del riscaldamento globale.
Da Varsavia sono arrivate alcune importanti novità: sono stati approvati ufficialmente i meccanismi “REDD+” (Reduced Emissions from Deforestation and Degradation) e il nuovo “Loss & Damage”, attraverso il quale i Paesi in via di sviluppo più vulnerabili agli effetti del surriscaldamento globale del Pianeta, e in primis le piccole isole-Stato del Pacifico che saranno sommerse dall’aumento del livello del mare, riceveranno dei fondi per rimediare ai danni dei cambiamenti climatici. E’ stato approvato anche un documento sui finanziamenti, riaffermando il ruolo del Green Climate Fund istituito nella COP di Cancun del 2010.
Anche riguardo alla negoziazione che dovrebbe portare al nuovo Protocollo di Parigi, nella COP19 di Varsavia ci sono stati dei piccoli progressi: proprio questo testo negoziale è stato l’oggetto della maratona finale di 40 ore di intensa contrattazione, andata avanti tutta la notte di venerdì. Nel testo negoziale originario si prevedeva che tutti i Paesi dovessero sottoporre all’UNFCCC i propri “impegni” (“commitments”) per la lotta ai cambiamenti climatici entro il primo trimestre del 2015; nel documento finale approvato questa parola è stata cambiata in “contributi” (“contributions”). Ogni Stato quindi avrà l’onere di formulare il proprio contributo per il clima, in termini di misure per il taglio delle emissioni climalteranti, da portare in dote ai prossimi round negoziali. Questo approccio bottom-up permette agli Paesi di stabilire autonomamente come e quanto impegnarsi per il clima; purtroppo con questo sistema decisionale non è possibile emettere giudizi definitivi sull’efficacia delle azioni nazionali, in quanto non ne conosciamo ancora la portata. Per questo motivo alcuni osservatori hanno già decretato che il processo negoziale è stato un fallimento: mancano ancora i numeri, ovvero i “budget di gas serra” (“carbon budgets”). Alcune ONG hanno perfino lasciato la Conferenza nella giornata di giovedì, per protestare contro questa grave mancanza.
Il processo negoziale era stato avviato nel 1972 alla Conferenza di Rio, che aveva creato l’UNFCCC, l’organismo ONU che si occupa di cambiamenti climatici. Da allora gli Stati aderenti alle Nazioni Unite si incontrano periodicamente per stabilizzare l’aumento di temperatura globale a un livello che non sia pericoloso per l’uomo. Questo livello è fissato a +1.5-2° gradi centigradi rispetto ai livello preindustriali; considerando che siamo già arrivati a un aumento globale medio di 0,8°, appare chiaro quanto urgente sia prendere delle misure idonee a bloccare la concentrazione di anidride carbonica e degli altri gas in atmosfera. Proprio in questo processo negoziale, nel 1997 era stato approvato il Protocollo di Kyoto, il primo trattato internazionale che poneva degli impegni per la diminuzione di 6 gas serra per i Paesi industrializzati, valido nel periodo 2008-2012. Adesso che il Protocollo di Kyoto è scaduto, la trattativa prosegue per giungere a un nuovo trattato, che dovrebbe essere siglato a Parigi nel 2015, per entrare poi in vigore dal 2020.
La strada per un Protocollo globale è ancora in salita; per sapere se riusciremo a vincere la sfida per il clima dovremo attendere le prossime due conferenze: a Lima nel 2014 e a Parigi nel 2015.
Veronica Caciagli