Educazione ambientale nelle scuole: una Cenerentola in attesa di finanziamenti
Recupero di materiali di scarto, compostiera per i rifiuti, alimentazione stagionale e biologica, acqua di rubinetto, cura di orti e vita all’aperto. A Reggio Emilia l’educazione ambientale si fa così. E sin dalla prima infanzia, i piccoli cittadini crescono nell’attenzione e rispetto per l’ambiente. “Nel nido e nella scuola dell’infanzia – fanno sapere dal municipio reggiano – date le peculiarità dei processi conoscitivi che caratterizzano questa età, non si procede per insegnamenti specifici e separati. L’educazione ambientale è da una parte un contesto che viene offerto ai bambini, dall’altra una didattica che tiene al suo interno un atteggiamento di cura e di sensibilità verso il vivente, in tutte le sue identità“.
Ai nidi e alle scuole arrivano materiali di scarto di circa duecento aziende locali, industriali ed artigiane, forniti dal Centro di riciclaggio creativo Remida che opera dal 1996 grazie alla collaborazione fra il Comune di Reggio Emilia e Iren. Bambini e genitori sono così sensibilizzati al riutilizzo degli oggetti. Nelle cucine delle scuole è attiva una soluzione di raccolta dei rifiuti umidi e si sta diffondendo l’uso della compostiera per alcuni degli scarti organici (sfalci dell’erba, potature di alberi e cespugli, foglie) per trasformarli in materiale riutilizzabile in giardino o nell’orto delle scuole stesse. Un orto in cortile è infatti realtà per diverse scuole dell’infanzia che hanno realizzato, con la partecipazione dei genitori dei loro utenti, un vero e proprio orto “per avvicinare i bambini alla vita all’aperto e al fascino della coltivazione – raccontano gli operatori – per riscoprire i legami con la terra e con i suoi frutti e per ricercare “sul campo” i sapori e gli odori degli alimenti appena colti”.
Con il progetto educativo “Tra terra e cielo”, l’Amministrazione reggiana promuove la vita all’aria aperta per i bambini da zero a tre anni. “Favorire questo stile di vita significa ripensare l’organizzazione e le progettualità educative e didattiche – spiegano – e riconsiderare il valore delle aree cortilive delle strutture scolastiche, nell’ottica di incrementare il dialogo quotidiano tra i bambini e gli ambienti naturali e sociali circostanti, con l’intento di offrire ai piccoli giornate meno sedentarie”.
L’uso dell’acqua del rubinetto, infine, è praticato nelle strutture educative reggiane come scelta di sostenibilità ecologica e sociale, per valorizzare stili di vita e di consumo sobri e attenti alle risorse ambientali.
Identica prassi è in uso negli asili nido bolognesi, dove l’”acqua del sindaco” è ritenuta idonea ed è in uso anche per bimbi di pochi mesi. Con buona pace delle pubblicità di acque minerali con bebè volteggianti in aria, l’acqua cittadina è sottoposta a controlli più frequenti di quella trasportata in bottiglie di plastica, che inquina sia per il trasporto che per lo smaltimento del contenitore.
Anche a Bologna è incoraggiato l’utilizzo di giardini e cortili esterni (quando ci sono) per campi in miniatura da coltivare nell’ambito dell’orario scolastico. Ma l’iniziativa resta affidata alle capacità e possibilità del personale educativo, che spesso vi coinvolge volontari o associazioni di quartiere. Nel capoluogo emiliano opera con le scuole la Fondazione Villa Ghigi, sostenuta da Comune, Università e Provincia. Le attività sono svolte per lo più in collina, a ridosso della città, presso la sede e nel parco della fondazione. Qui le scolaresche passano giornate a contatto con la natura, impegnate in escursioni, attività fisiche e didattiche, laboratori di manualità. La fondazione organizza anche campi estivi come “la scuola nel bosco”. I costi dei soggiorni sono però contributi extra a carico delle famiglie.
Non doveva essere così nelle intenzioni delle Ministre dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, e dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, che nel 2009 avevano siglato un accordo per portare sui banchi di scuola l’educazione ambientale. Lo stanziamento di un milione di euro avrebbe dovuto offrire dall’anno scolastico 2010/2011 l’educazione ambientale a tutti gli studenti di ogni ordine e grado, all’interno di una nuova materia, Cittadinanza e Costituzione. L’educazione ambientale è infine entrata nelle scuole, ma con modalità e caratteristiche differenti da città a città.
Spesso, ad esempio, operano in tale ambito soggetti privati che affiancano l’orario sui banchi con servizi di consulenza o attività formative outdoor. In Abruzzo, già “Regione verde d’Europa“, la cornice di questi corsi è spesso quella di luoghi affascinanti come le numerose aree protette o i parchi delle regione. La cooperativa Il Bosso, oltre a gestire l’ostello della Provincia di Pescara propone corsi di canoa ed escursionismo, oltre ad attività più tradizionalmente scolastiche. Queste ultime si svolgono principalmente all’interno di strutture ad hoc o all’aperto in aree protette, come nel centro di educazione ambientale a Bussi sul Tirino (Pe), nel Centro visite del Lupo, a Popoli, nel Parco Nazionale della Majella. Ma anche all’interno del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, o nelle oasi WWF delle “Gole del Sagittario“, ad Anversa degli Abruzzi (Aq) e alle sorgenti del fiume Pescara, a Popoli (Pe).
Ma il catalogo delle “proposte di educazione ambientale” de Il Bosso è fermo al 2011 e il sito avverte: “Per l’anno scolastico 2011-2012 siamo in attesa di indicazioni da parte (…) della Regione Abruzzo (…)“. La sensazione è dunque che, finiti i primi finanziamenti, l’educazione ambientale nelle scuole sia rimasta un po’ al palo: affidata a dopo-scuola a pagamento, non sempre alla portata di tutti, o alla motivazione (e capacità economiche) dei singoli enti, spesso supportati da organizzazioni e associazioni ambientaliste come Wwf e Legambiente, che portano avanti progetti specifici in accordo con i dirigenti scolastici.
Cristina Gentile