Inquinamento atmosferico: la fatica di Sisifo dell’Unione Europea
Quello dell’inquinamento atmosferico sembra un problema senza soluzione, da “fatica di Sisifo”. Per un passo compiuto verso la riduzione della CO2, ce ne sono due indietro che ci fanno scivolare a valle, verso disastrosi scenari futuri, in cui si prospettano danni – potenzialmente irreversibili – alla salute umana e agli ecosistemi.
A lanciare l’allarme, dopo l’OMS, è questa volta l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) che sottolinea, non senza preoccupazione, come il particolato e l’ozono sfiorino ormai livelli allarmanti, nonostante il calo degli agenti inquinanti registrato negli ultimi dieci anni.
Il periodo analizzato dall’Agenzia è quello che va dal 2009 al 2011, ed il giudizio è senza appello: il 90% degli europei che vivono in città è esposto ad una quantità troppo elevata di polveri ultrafini, percentuale che arriva al 96% per quanto riguarda le Pm 2,5 e al 98% se si prendono in esame le quantità di ozono. Numeri da capogiro (e da mal di testa) anche se si prendono in considerazione le soglie limite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che spesso è molto più severa rispetto ai parametri UE.
Il problema non è tuttavia esclusivo dei centri urbani, perché la prima causa delle emissioni killer è senza dubbio il traffico, ma a contribuire sono anche le abitazioni, l’industria e l’agricoltura. Anche chi abita in campagna, dunque, non gode necessariamente di “buona aria”. In Europa il numero di centraline posizionate in siti rurali che ha rilevato superamenti delle soglie di allerta per le particelle sottili fra 2009 e 2011 è più che raddoppiato. Gli aumenti più significativi delle concentrazioni sono stati registrati in Italia, Austria, Repubblica Ceca, Germania, Olanda e Polonia. Ma non finisce qui. Valori limite di biossido di azoto (Nox) sono stati, inoltre, osservati in 26 stazioni di rilevamento in zone agricole, di cui 16 in Italia, seguita da Austria, Belgio, Francia, Germania e Olanda. Il “Belpaese”, per non farsi mancare nulla, si distingue anche per quanto riguarda gli eccessi nei livelli orari e giornalieri di anidride solforosa (So2), insieme a Spagna, Bulgaria e Romania. Ed è stata anche fra i Paesi europei a superare più spesso il limite UE della media annuale per le Pm10 e Pm 2.5, insieme a Polonia e Slovacchia.
La devastante criticità, nel nostro Paese, è rappresentata principalmente dalla Pianura Padana, fra le aree che devono maggiormente fare i conti con questi fenomeni di inquinamento dell’aria. Sul fronte ozono è Padova a vincere il “premio città più irrespirabile d’Europa”, seguita da Pavia, Reggio Emilia, Treviso e Parma, Verona e Varese. Ma nei primi 30 posti di questa triste classifica sono ben 23 le città che portano il nostro Paese a segnare, in totale, valori tre volte più elevati rispetto alla soglia limite. Al Nord Italia si affianca il Sud della Francia, altra area fortemente affettata da questo inquinante.
Il Commissario Europeo all’Ambiente, Janez Potocnik, dice che la Commissione Europea risponderà all’emergenza con nuove regole in arrivo entro la fine dell’anno. Tuttavia, la politica di Bruxelles sul tema – quantomeno vista con gli occhi dei cittadini europei – sembra tutt’altro che coerente, imbrigliata in uno scacchiere dove ogni giocatore fa la propria partita.
Mentre, infatti, le cifre sull’inquinamento atmosferico facevano il giro del Vecchio Continente, il Consiglio dei Ministri dell’Ambiente dell’UE rinviava il voto sulla normativa che, per le nuove auto, limita le emissioni di CO2 a 95 grammi entro il 2020. (Oggi il limite è di 130 g/km). Dietro al rallentamento dell’iter si nasconde la Germania, spalleggiata da Spagna, Portogallo, Ungheria, Slovacchia, Polonia e Regno Unito. L’industria tedesca dell’auto, grazie al proprio peso decisionale, ha così ottenuto una rinegoziazione dei limiti. I Ministri hanno, infatti, deciso di annullare i precedenti accordi e di riaprire le trattative spostando in avanti la data di applicabilità e gettando così alle ortiche l’accordo già preso col Parlamento Europeo.
Battuta d’arresto anche per l’approvazione delle nuove regole sui biocarburanti, per limitare quelli prodotti da colture alimentari. La Commissione Ambiente dell’Europarlamento non è riuscita a raggiungere la maggioranza necessaria per avviare i negoziati con Consiglio e Commissione. Secondo la proposta approvata il mese scorso, i biocarburanti tradizionali non dovranno superare il 6% del consumo finale di energia nel settore dei trasporti entro il 2020, rispetto all’obiettivo del 10% della legislazione vigente, mentre viene inserito un nuovo target del 2,5%, sempre per il 2020, per i biocarburanti di seconda generazione, prodotti da alghe e rifiuti. Ora il rischio è che la proposta non riesca ad essere concordata prima delle nuove elezioni, slittando al 2015.
A mettere una pezza a questo schizofrenico modus operandi ci ha pensato la Commissione Europea presentando una proposta di modifica del Regolamento comunitario per estendere all’aviazione il proprio sistema di scambio di emissioni di CO2 (ETS), a partire dal 1° gennaio 2014 fino al 2020, anno in cui entrerà in vigore lo strumento globale concordato dall’Organizzazione Internazionale per l’Aviazione Civile (Icao). Verrebbero coinvolti tutti i voli in partenza ed in arrivo nell’Area Economica Europea. Esclusi, invece, i voli da e per i Paesi in via di sviluppo, che emettono meno dell’1% delle emissioni dell’aviazione globale. Il commissario per l’Azione Climatica Connie Hedegaard ha incalzato Consiglio e Parlamento al fine di adottare l’iniziativa al più presto considerando anche il fatto che le emissioni del settore sono raddoppiate rispetto al 1990.
Beatrice Credi