Paola Gilardi (Bio4Pack Italy): “Riduciamo le tasse a chi compra bio!”
La crisi, per chi se lo fosse dimenticato, oltre a essere economica e sociale è anche ambientale. O meglio, soprattutto ambientale, perché sono proprio la mancanza di interventi legislativi appropriati e il ritardo nell’applicazione di modelli di vita, di produzione e di lavoro più sostenibili a impedirci di uscirne. Lo diceva già Einstein, del resto, che “non possiamo pretendere di risolvere i problemi pensando allo stesso modo di quando li abbiamo creati“. Ecco quindi che Greenews.info ha deciso di intervistare, nella sezione Idee – da oggi e per le prossime settimane - imprenditori, politici, opinion leaders, docenti, cittadini, che stiano applicando, nella propria attività quotidiana, questi nuovi modelli e che abbiano “buone idee per l’ambiente e il futuro” da condividere con i nostri lettori. Seguiteci anche su Twitter, con l’hashtag #ideeperlambiente.
Paola Gilardi si occupa da molti anni di packaging, prima alla guida del marketing internazionale di prestigiose aziende italiane con sede in Piemonte, poi con il ruolo di direttrice commerciale. Oggi Paola ha “cambiato vita” ma non gli interessi e ha fondato Bio4pack Italy, filiale italiana della multinazionale olandese Bio4pack, competitor di Novamont. La sua azienda ha la mission di diffondere, anche in Italia, la cultura dell’imballaggio sostenibile ed ecologico e fornisce servizi di consulenza alle imprese, ma anche “packaging ecologici studiati appositamente per il mondo del biologico, per l’agroalimentare di qualità e per tutte le applicazioni di prodotti freschi e non trattati che necessitino di essere confezionati in modo responsabile, naturale e sostenibile”.
In vista del 25° Sana, il Salone del Biologico e del Naturale che aprirà sabato a Bologna (e dove organizzerà, lunedì 9 alle 10, il convegno “Le bioplastiche da fonti rinnovabili: materiali e mercati“), l’abbiamo intervistata per fare il punto sullo stato dell’arte del settore. Un segmento con un alto tasso di ricerca e innovazione, in cui si studiano continuamente soluzioni per portare i nuovi materiali e le loro performance meccaniche ai livelli delle plastiche tradizionali, così da ottenere prodotti efficienti e a basso impatto ambientale.
D) Dottoressa Gilardi, tra meno di una settimana a Bologna andranno in scena le eccellenze del biologico. La gran parte di questi prodotti è però ancora confezionata in imballaggi che poco hanno di sostenibile. Non è una contraddizione?
R) Sì. Il nostro obiettivo è infatti proprio partire da chi, producendo in modo sostenibile, ha una maggiore sensibilità ambientale e dovrebbe quindi guardare in modo più critico e analitico i materiali e i metodi di confezionamento. Bisogna anche dire che una parte di produttori e consumatori biologici ha demonizzato tutto il packaging, dando vita a nuovi modelli di consumo basati sullo sfuso, che non sono di per sé negativi, ma un po’ scomodi. Penso che il rifiuto totale degli imballaggi sia frutto di una cattiva informazione sui nuovi materiali disponibili e della scarsa offerta italiana.
D) Quali sono i materiali principali all’origine di questi imballaggi innovativi?
R) Amido, canna da zucchero, polylacticacid (PLA) derivanti da scarti vegetali, per esempio di mais. Attraverso la raffinazione di queste risorse si ottengono i granuli e da essi i film, che possono essere utilizzati per produrre sacchetti o termoformati e usati per fabbricare vaschette e vassoi. Come spiegherò anche nel convegno di approfondimento sul PLA in programma al SANA il 9 settembre, l’approccio di Bio4pack è sostituire le plastiche prodotte con idrocarburi con altre derivate da prodotti naturali, in modo che alimenti sani come quelli biologici non vengano a contatto con materiali derivati dal petrolio – che oltretutto è una risorsa limitata, collocata in paesi instabili, e con un prezzo destinato ad aumentare nei prossimi anni. L’idea è quella di impacchettare i prodotti bio in imballaggi che non contribuiscano a consumare una risorsa finita.
D) In molti casi, tra i fattori che spingono le aziende a non utilizzare questo tipo di imballaggi ci sono le basse performance meccaniche. E’ ancora così?
R) Gli imballaggi biodegradabili e compostabili in generale non sono in grado di resistere a temperature molto alte: essendo degradabili da microrganismi e facilmente frammentabili, si deformano con il calore. Tuttavia, sono state fatte delle evoluzioni: attraverso lamine o trattamenti particolari si ottengono materiali detti blendings che si comportano in modo più efficiente. Al SANA, per esempio, presenteremo il BTI, un film adatto a prodotti come pasta, riso, spezie, che non devono venire a contatto con l’ossigeno. E’ formato per l’85% da materiali naturali, cellulosa e PLA, mentre il restante 15% è la componente di origine non vegetale, frutto di uno studio decennale, che consente però al film di essere rigido, saldabile, resistente a grassi e alcol e di fare da barriera a ossigeno e umidità.
D) Qual è la situazione in Italia rispetto all’estero?
R) Nel nostro Paese siamo decisamente in ritardo rispetto a Olanda, Austria, Germania e Gran Bretagna: la legge sugli shopper è confusa, ci sono divieti ma non sanzioni. Le aziende sono tutte interessate, ma in un momento di crisi come questo si tende, eccetto pochi che investono, a ridurre i costi per sopravvivere. Penso che bisognerebbe dare incentivi a produttori che usano materiali e processi green, così come ai consumatori “sostenibili”: una riduzione delle tasse che premi le loro scelte! Buona parte dei nostri clienti sono produttori di eccellenze bio che vogliono vendere all’estero, dove c’è molta più sensibilità. In Inghilterra, per esempio, i supermercati Marks&Spencer importano molti prodotti biologici italiani, ma pretendono imballaggi in PLA. La grande distribuzione italiana, invece, in questo momento sta perseguendo solo la politica del sottocosto.
Veronica Ulivieri